Lo sviluppo delle smart cities in Italia è infatti a buon punto, soprattutto per i grandi comuni del Nord. Tuttavia, si delinea un quadro di luce e ombre: le risorse messe a disposizione dal PNRR per la digitalizzazione sono sufficienti e gli obiettivi chiari, ma sono diverse le criticità rilevate, tra le quali la più decisiva è certamente la scarsità di competenze. Nella pubblica amministrazione anche locale c’è bisogno di tre azioni principali: procedere all’assunzione di personale con expertise più tecnica e specialistica rispetto a quella attuale, provvedere al reskilling e all’upskilling del personale attualmente in servizio e puntare alla collaborazione con le aziende attraverso forme di partenariato pubblico privato.
Quest’ultimo è propro uno dei temi centrali che emerge dallo studio dal titolo ‘Smart Cities, a che punto siamo nel percorso verso città a prova di futuro’, realizzato nell’ambito di Futur#Lab, il progetto promosso dall’Istituto per la Competitività (I-Com) e WindTre, in collaborazione con Join Group e con la partnership di Ericsson e Inwit. I-Com ha condotto un’analisi qualitativa sullo stato dell’arte delle iniziative messe in campo dai principali comuni capoluogo delle città metropolitane italiane mediante la somministrazione in forma orale di un questionario finalizzato a mettere a fuoco le innovazioni più rilevanti nell’ambito delle cosiddette smart cities. Nello specifico sono state interpellate le 14 città metropolitane italiane e relativi comuni, fra cui il Comune di Milano, di Genova, di Firenze e di Venezia.
Nella Penisola, i servizi di livello avanzato sono offerti prevalentemente nei Comuni del Nord, con Cremona al vertice della classifica. Molto più basso, e talvolta nullo, il numero di servizi di livello intermedio o elevato resi disponibili da quelli del Sud e delle Isole. In generale, la diffusione di servizi online con livello elevato di digitalizzazione è più alta nei capoluoghi metropolitani rispetto ai capoluoghi di provincia: Venezia, Milano, Genova, Roma e Bari offrono insieme oltre la metà dei servizi di livello elevato, scondo le elaborazioni I-Com su dati Istat.
I pareri delle città interpellate sono unanimi sul fatto che le risorse messe a disposizione dal Piano per la digitalizzazione sono sufficienti e ci sia chiarezza su come utilizzarle. A tal proposito, un aspetto evidenziato riguarda la gestione dei bandi e dei finanziamenti da parte dei Comuni più piccoli, che spesso sono anche quelli che registrano progressi più lenti in ambito digitalizzazione. Dalle rilevazioni è emerso che, sebbene i recenti bandi per la digitalizzazione dei servizi siano meno adatti alle esigenze dei Comuni di dimensioni maggiori, per quelli più piccoli l’approccio maggiormente standardizzato che è stato scelto dal Governo facilita l’adozione e la diffusione delle tecnologie innovative anche da parte di enti che generalmente incontrano difficoltà nella predisposizioni di tali progetti, in particolare per la mancanza di competenze interne atte a favorire la partecipazione ai bandi e per l’implementazione delle innovazioni.
Un aspetto critico riguarda, invece, la gestione contabile dei progetti. Infatti, l’adozione di tecnologie innovative per la PA – come il passaggio al cloud – spesso ricade nella spesa corrente soggetta a vincoli. In quest’ottica, la previsione di uno status speciale per particolari spese in servizi digitali innovativi al di fuori della classica spesa corrente potrebbe essere utile per favorire una più ampia adozione di tecnologie innovative da parte degli enti pubblici, con risvolti positivi in termini di numerosità e qualità di servizi digitali offerti a cittadini e imprese.
Una criticità che si potrebbe rilevare ancora più decisiva è la scarsità di competenze. C’è dunque innanzitutto bisogno di immettere nelle amministrazioni pubbliche anche locali nuovo personale, anagraficamente più giovane e in possesso di expertise diverse e più specializzate rispetto a quelle esistenti. Senza però trascurare la necessità di una massiccia operazione di upskilling e reskilling del personale attualmente in servizio, la cui produttività deve aumentare di molto per far fare alla PA e in particolare a quella territoriale il salto in avanti necessario.
Tuttavia, secondo i dati pubblicati dall’AgID, dal 2013 al 2019 le pubbliche amministrazioni italiane hanno esperito 80 gare d’appalto innovative, per un totale di 470 milioni di euro. Davvero una goccia nel mare delle gare svoltesi nello stesso periodo.
Rispetto alla collaborazione pubblico-privato, a livello europeo vi è lo Smart Cities Marketplace, una delle principali piattaforme che mira a congiungere i progetti legati allo sviluppo delle città intelligenti con industrie, PMI, imprenditori, ricercatori e altri stakeholder, in grado di mobilitare 613,3 milioni di euro attraverso 17 network di investitori coinvolti. Secondo quanto riportato sul portale della Commissione europea, il Paese che ad oggi ha fatto registrare più progetti è la Spagna (31), seguita da Paesi Bassi (19) e Svezia (18). L’Italia, con 16 progetti, si posiziona al quarto posto a pari merito con la Germania.
Il primo cardine su cui si fonda la realizzazione di una smart city sono le reti di telecomunicazioni. In particolare, un ruolo di primaria importanza è giocato dal 5G. Secondo le previsioni del GSMA, le reti 5G porteranno un contributo all’economia mondiale di circa 960 miliardi di dollari entro il 2030. Stando all’analisi condotta da DLA Piper, l’applicazione del 5G con il più alto potenziale di crescita nel prossimo futuro è relativa proprio alle smart cities (22%), seguita dall’IoT (16%) e dal media & entertainment (16%). Anche sotto questo profilo, le telco sono sempre più centrali per la raccolta e la fornitura dei dati alle municipalità, insieme alla stessa capacità di intelligence.
Altre tecnologie abilitanti sono sicuramente l’Internet of Things (IoT), il cloud e l’intelligenza artificiale (IA). Secondo gli ultimi dati diffusi da MarketWatch, il mercato mondiale dell’IoT si è attestato su 11,91 miliardi di dollari nel periodo pre-covid (2019) e dovrebbe esplodere nei prossimi anni tanto da raggiungere i 42,67 miliardi entro il 2025. Riguardo la diffusione del cloud presso gli enti della PA risulta, invece, che in Italia circa il 61% degli enti pubblici utilizza il cloud per l’archiviazione dei dati. È un dato molto importante poiché, secondo l’indagine di I-Com, il potenziale risparmio annuale derivante dall’adozione del cloud negli enti locali ammonta a 872 milioni di euro per i comuni (di cui 739 per una maggiore efficienza dei servizi e 133 per la riduzione della spesa energetica) e 133 milioni per le regioni.
Passando al ruolo dell’IA nei servizi pubblici, uno studio realizzato da Joinup per la Commissione Europea ha evidenziato come il 30% degli utilizzi di IA nella PA sia per ‘funzioni generali di pubblico servizio’, seguiti da ‘affari economici’ (18%), ‘salute’ (15%) e ‘ordine pubblico e sicurezza’ (14%).
La copertura del territorio con reti 5G, oltre a essere fattore trainante per il processo di digitalizzazione, è quindi fondamentale per la realizzazione di città intelligenti. A questo scopo, si evidenzia anche l’opportunità di incentivare l’adozione di nuove applicazioni a livello di enti pubblici, che consentano l’efficientamento delle operazioni a livello di connettività, ad esempio favorendo la diffusione di reti di nuova generazione in grado di supportare la diffusione di servizi innovativi, in particolare facenti capo ai domini dei big data, dell’intelligenza artificiale e dell’internet of things. Alcune interessanti innovazioni potrebbero essere integrate utilizzando, pro quota, i fondi rimanenti dai bandi per la copertura del territorio in Banda Ultra Larga (BUL) allo scopo di favorire l’adozione di soluzioni smart, ad esempio in termini di ottimizzazione della mobilità (sensoristica stradale o per i parcheggi) e del risparmio energetico (automazione nella fornitura di illuminazione, riscaldamento, ecc.).