Il declino delle GIF, il formato immagine in movimento che ha fatto la fortuna di Tumblr, è stato decisamente più rapida di quanto ci si potesse aspettare. Tutto ha preso inizio, paradossalmente, dall’acquisizione da parte di Facebook – eh sì, all’epoca, una paio d’anni fa, Meta era ancora nella mente di Zuckerberg – del motore di ricerca e repository di immagini Giphy. Valutato 400 milioni di dollari all’epoca, l’acquisizione non incontrò ostacoli negli Stati Uniti e in Europa, ma venne osteggiata dalla CMA, Competition and Market Authority, del Governo Britannico, che decise di bloccarla.
Naturalmente Facebook (e poi Meta) fece ricorso contro la decisione, e – per farla breve – dopo mesi di dibattimenti in punta di diritto, il Competition Appeal Tribunal (CAT) decise di confermare 5 su 6 delle decisioni prese dalla CMA.
Dopo aver perso l’appello, Meta ha cercato di sostenere in tribunale che il mercato di Giphy si era deteriorato al punto da rendere impossibile la vendita dell’azienda. La richiesta è caduta nel vuoto e Meta ha infine accettato di cedere l’azienda. Nel frattempo, la CMA ha inflitto a Meta un’enorme multa di 50,5 milioni di sterline per essersi rifiutata di rispettare la sua decisione.
Fine della storia: Meta rinuncia all’acquisizione di Giphy perché tutti i suoi business nel Regno Unito sarebbero stati pesantemente impattati: non si mettono a rischio i fatturati di Facebook e Instagram, pari quest’anno a circa 85 miliardi di dollari in totale, rifiutandosi di adempiere alle prescrizioni di un’Authority di controllo. Vendere Giphy, anche se in perdita, sarebbe stato sicuramente meno costoso che rinunciare ai ricavi di tutte le piattaforme di Meta messe insieme. La decisione migliore è stata dunque liberarsi di Giphy – si parla di un valore dimezzato rispetto all’acquisto – incassare il colpo e continuare a gestire gli altri social per generare entrate.
Ma quello che Meta ha affermato nel corso del suo vano ricorso di appello ha dato il via alla valanga che minaccia sempre più di travolgere non Giphy ma le stesse GIF, bollate come ‘come roba da Boomer’ e ‘cringe’. Il re è nudo: le gif stanno morendo perché la Gen Z – il ‘domani’ di internet, in attesa della Generazione Alpha che sta avanzando a grandi passi – non le utilizza più, sostituite dai meme e anche, il massimo dell’affronto, dai video alleggeriti che hanno una resa migliore e pesano molto meno. E poi inutile nascondersi, ormai internet si legge da mobile, sugli applicativi per smartphone, da Chrome a Safari: chi usa più un sistema macchinoso come le GIF e il loro motore di ricerca?
“Marketplace commentary and user sentiment towards GIFs on social media shows that they have fallen out of fashion as a content form, with younger users in particular describing GIFs as ‘for boomers’ and cringe”, aveva scritto la società nel suo ricorso contro la CMA. Questa è stata la condanna definiva del formato ‘immagini in movimento’. Domandarsi, per controllo, chi usi ancora le GIF: “sono fondamentalmente l’immagine che il vostro capo millennial usa in Slack”, scrive Ryan Broderick, esperto di cultura di internet. “Non sono più quelle di una volta, che erano un tipo di immagine decentralizzata per comunicare su blog e bacheche. Le Gif sono estremamente datate. Non sono mai state facili da realizzare e non funzionano particolarmente bene sui cellulari“.
Questo formato è l’equivalente dei reel, che ripropongono video di TikTok diventati virali mesi prima, o delle condivisioni di un meme dopo troppo tempo da quando è stato pubblicato. Se le gif sono diventate così ‘sfigate’ è soprattutto perché non vanno d’accordo con la GenZ, che per chattare usa Instagram e per condividere e commentare contenuti usa TikTok.
E qui siamo arrivati all’ultimo motivo che segna il destino delle GIF: TikTok, l’entertainment platform, non un social media, che ha cambiato il modo in cui i più giovani usano internet. I contenuti generati da creator vengono consumati dalla maggior parte degli utenti in modo passivo, come se fossero su Netflix o in televisione: il 66 per cento degli utenti non crea video, ma si limita a consumarli da spettatore. Rinunciando a quella attività bidirezionale che aveva caratterizzato il Web 2.0.
E la cosa funziona, guardando ai fatturati: nel corso dell’ultimo anno TikTok ha raddoppiato i soldi ricavati dalle pubblicità. In attesa che il Web 3.0 (quando?) faccia il suo corso.