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L’audio revolution e la crescita dei brand: ancora molto lavoro da fare per utilizzare al meglio tecnologia e device

La brand experience è, anche storicamente, legata soprattutto all’aspetto visivo, dai loghi agli store. Più trascurato invece quello che si potrebbe definire brand audio experience, o meglio ancora ‘brand voice experience’. Perché alla fine l’unione tra l’esperienza audio ‘passiva’ – podcast, streaming, podcast, audiolibri e simili – e quella attiva degli assistenti vocali, o meglio smart speaker, sta dando vita a un nuovo canale che risponde alle proprie logiche e dalle grandi potenzialità future. Perché c’è una bella differenza tra digitare su una tastiera e parlare con un oggetto in grado di rispondere a tono. Una differenza destinata ad ampliarsi sempre più man mano che le applicazioni dell’Artificial Intelligence saranno in grado di rendere sempre più preciso il riconoscimento del parlato comune e sempre più brillanti il contenuto e – da non sottovalutare – il tono delle risposte.

Già oggi, complice l’implementazione dell’AI sugli smartphone, i veri ‘oggetti ubiqui’ del Terzo Millennio (per ora), non è più strano dettare un appunto, fissare un evento sul calendario, organizzare un appuntamento utilizzando solo la voce: non più i vecchi comandi vocali, che richiedevano un lungo apprendistato, ma semplicemente ‘parlando’. E non fa più specie neppure ai tanti padri e madri scoprire che i propri figli utilizzano senza problemi gli smart speaker e i loro suggerimenti per fare i compiti a casa (o meglio, visti i tempi di DAD, fare i compiti e basta).

In Asia Pacifico, dove sono decisamente più avanti – è ancora da stabilire se per il meglio – lo Smart Speaker ha assunto spesso una personalità propria ed è diventato oggetto di relazioni personali ed emotive che combattono la solitudine degli individui.

Ma per non addentrarsi troppo in terreni ancora parzialmente inesplorati, si torni semplicemente alla voice brand experience e agli strumenti attraverso i quali la marca può parlare al consumatore, intendendo con parlare proprio l’atto di ‘emettere voce’. Una strategia di comunicazione in grado di impattare sul cervello umano creando un’identità sonora riconosciuta nel tempo, non semplicemente un ricordo o la reiterazione di un jingle. Ed ecco allora che i contenuti audio diventano un canale in crescita, con tassi di fidelizzazione e coinvolgimento sempre più importanti, da comprendere per orientarsi e restare al passo con i tempi che cambiano.

Perché non va dimenticato il fatto che, secondo una ricerca di Spotify, oltre la metà dei consumatori considera l’audio un modo di sottrarsi alla comunicazione visuale che caratterizza la nostra società occidentale.

Ecco quindi che il voice marketing, tramite un branded podcast o una pubblicità contestualizzata, appare sicuramente meno invasivo e più efficace, per lo meno su questi utenti sovraesposti, di uno spot in streaming. In più il contenuto audio può essere ascoltato in qualsiasi luogo e non obbliga a monopolizzare su di esso l’attenzione. Va benissimo, come la radio dimostra, per essere usato come sottofondo mentre si sta facendo altro, ma la voce è umana, crea vicinanza e fiducia. La pubblicità, poi, è personalizzata, costruita, o almeno personalizzata in funzione delle preferenze, espresse o meno, del consumatore.

In Italia secondo la Digital Audio Survey di Ipsos, gli ascoltatori di podcast sono circa 7 milioni (il 26% della popolazione tra i 16 e i 60 anni), interessati proattivamente a cercare sulla base di un argomento (53%), e ascoltano i contenuti prevalentemente a casa (78%) e in mobilità (in macchina 30%, sui mezzi pubblici 26%). In pratica il podcast si presenta come un format di comunicazione con grandi potenzialità che aggancia un utente ricettivo, tanto che il 64% ricorda i brand presenti nella trasmissione.

Se da un lato è facile creare un podcast (è sufficiente uno smartphone), più difficile è costruire un modello di business che possa portare valore al brand e riesca a sostenersi economicamente. A questo scopo diventa essenziale, per emergere e non perdersi nel mare magnum del podcasting indifferenziato, avere una strategia chiara e una distribuzione efficiente, valorizzata nei termini corretti. Perché sempre più utenti si avvalgono di questo media, ma il rischio della banalizzazione è più che presente.