Il Cloud in Cina è un’altra cosa. Ci sono differenze tra gli operatori dell’offerta e – soprattutto – ci sono aspetti regolatori che rendono questo mercato strettamente vigilato dalla Autorità di governo, anche se ci sono stati timidi “esperimenti” di un parziale allentamento dei controlli.
Ma, come abbiamo scritto ieri, il cloud in Cina vive una condizione non dissimile a tutte quelle tecnologie, sviluppate per i mercati occidentali, che trovano nel mercato asiatico un’applicazione soggetta a stretta sorveglianza, quando non sono esse stesse il motore per nuove forme di controllo. Si veda al riguardo lo sviluppo del riconoscimento facciale e dell’Intelligenza Artificiale, che ha portato all’implementazione di raffinati sistemi di sorveglianza di massa. Ma questo è un discorso che andrebbe lontano: torniamo dunque al Cloud e al suo sviluppo nella Cina continentale (Hong Kong fa ancora eccezione, grazie alla legge soprannominata One Country, Two Systems, ma ora gli spazi si stanno facendo più ristretti anche lì, sebbene per il momento relativamente alle libertà e ai partiti politici).
Guardando alla Cina, comunque, si nota subito che tutti i maggiori operatori sono aziende locali, con Alibaba che ha una market share del 43%: una cifra sproporzionatamente elevata, che si traduce – grosso modo – in un 40% delle prima 500 aziende cinesi e nella metà di quelle quotate che ricorrono ai servizi di Alibaba Cloud, per un fatturato largamente superiore a 3 miliardi di dollari USA. Al secondo posto una altra società cinese, Tencent Cloud, con una market share del 11,2%, seguita da China Telecom con il 7,4% e da Amazon Web Services con il 6,9%. Un dato, quest’ultimo, che non deve trarre in inganno circa l’apertura del mercato: Amazon China fa infatti sapere – pubblicamente, perché non potrebbe fare altrimenti per legge – che i servizi forniti sono eseguiti attraverso due service operator cinesi: la Beijing Sinnet Technology per l’area di Pechino, e la Ningxia Western Cloud Data Technology per la zone di Ningxia. Due local partner, una sorta di proxy, necessari per “comply with China’s legal and regulatory requirements“, recita la pagina di Amazon China.
Globalmente Alibaba si colloca al secondo posto tra i provider di Cloud pubblico nell’Asia Pacifico, e al quarto posto nel mondo: due cifre che mostrano quanto siano prive di fondamento le proteste di coloro che lamentano il controllo centrale su Internet, innalzando la bandiera della libertà di fronte a giganti tecnologici che mostrano di non essere minimamente toccati da questo vociare.
Anche la recenti discussioni, all’interno del più vasto confronto tra USA e Cina sul commercio estero, non stanno portando a nulla di concreto.
“Certamente è intenzione della Cina di aprire il proprio mercato cloud pubblico”, ha confermato una fonte esperta sotto il vincolo dell’animato. “Accogliamo volentieri la presenza di un numero crescente di aziende straniere nel nostro cloud e anche di nel mondo internet”. “Tuttavia”, ha aggiunto l’esperto, “le attuali regole, inclusa quella che prevede la necessità di partnership con aziende locali, sono indispensabili per assicurare la stabilità del mercato domestico e garantire la sicurezza nazionale.
Guardando avanti, qualche tentativo di apertura del mercato c’è stato, ma sempre relativamente a dati cinesi che devono rimanere su server cinesi. Alcune aziende internazionali sono state autorizzate a gestire direttamente i propri server nella zone cosiddette di Free Trade, ma i vicoli denunciati da Amazon, Google, Microsoft permangono inalterati.
Eppure l’interesse nel cloud è crescente: l’ultima edizione della Cloud Computing Conference, lo scorso mese di settembre, ha visto 120.000 partecipanti arrivati dalla Cina e da tutta l’Asia, annichilendo i 50.000 presenti alla AWS Conference di Las Vegas. Ma la situazione in Cina si conferma diversa: crescere sì, ma lasciare spazio ai campioni nazionali, Alibaba, Baidu, Tencent. E che gli “stranieri” operino attraverso partner locali, affinché non vi sia dubbio possibile su chi sia in definitiva il vero “padrone” delle relazione tra azienda e il singolo consumatore cinese, quello che acquista su Tmall e paga via WeChat, che fa della rete mobile il suo unico canale di accesso e di transazione: lo Stato centrale.