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La Borse crollano sotto il peso del Covid-19. Le criptovalute non perfomano meglio, anzi

Alla fine nelle Borse di tutto il mondo arrivò l’Orso. Con l’intenzione di restarci un bel po’ di tempo.

Non che fosse totalmente inatteso: una report della banca svizzera UBS indicava, qualche mese fa, nella seconda metà dell’anno il periodo più probabile per l’inversione di tendenza. Dopotutto erano oltre dieci anni che dominava il Toro nel mondo: dalle fine della crisi del 2008/09, sia pure con misure diverse a seconda delle varie aree geografiche, le Borse non avevano smesso crescere.

Poi di colpo la pandemia dichiarata dall’OMS, il ‘cigno nero’ che dal giorno alla notte ha cambiato le prospettive economiche e finanziarie per tutto il mondo.
Dal 18 febbraio in Italia c’è stato un tracollo dell’indice FTSE MIB della Borsa di Milano, che è passato dai 25.223 punti – quotazione corrente all’epoca – ai 15.731 della chiusura di venerdì 20 marzo. Un crollo di 10.000 punti nel giro di un mese che non è stata l’eccezione di un mercato borsistico impazzito, ma le replica su scala locale di un trend globale. Il Dow Jones di New York è sceso nelle stesso dai 29.219 punti ai 19.173 di venerdì scorso, lo S&P 500 Index dello stesso mercato dai 3.386 punti agli 2.304 giovedì. E qualsiasi Borsa di guardi la situazione non cambia: il Dax di Francoforte è calato dai 13.579 agli 8.928 punti; l’FTSE 100 di Londra è arrivato a 5.190 dai 7.403 che valeva un mese fa; l’SMI di Zurigo da 11.110 a 8.623 punti; il TPX di Tokio, dai 1.618 ai 1.283 punti. E si potrebbe continuare con Madrid, Parigi, Hong Kong, Melburne, Mosca e tante altre nel mondo.

Prima di procedere oltre, però, ci sia concesso di sgombrare il campo da possibili equivoci: questo articolo non vuole essere l’indicazione di come comportarsi da qui in avanti. Se chi scrive possedesse la magica sfera di cristallo per decrittare il futuro, se ne starebbe mollemente adagiato su una pila di soldi in qualche paradiso tropicale, non certo a scrivere al pc in una Milano assediata dal lockdown.

Detto questo, proviamo a riflettere intorno a un argomento specifico: come si stanno comportando le criptovalute e i loro andamenti, in quella che sarebbe potuta essere una situazione ideale per un bene-rifugio, svincolato dal giogo delle Banche Centrali e dalle Borse, e dai loro tentativi di frenare – almeno – la valanga di vendite in atto? Tentativi finora vani, per essere precisi.
Per semplicità non faremo riferimento alla criptovaluta in potenza più promettente, quella Libra promossa a giugno scorso da Facebook, e opportunamente scomparsa dalle cronache in attesa che si calmino un po’ le acque. No, ci riferiremo a tre criptovalute esistenti e quotate, il Bitcoin, l’Ethereum e l’XRP.

Il Bitcoin, storicamente la prima valuta a diventare famosa presso la grande massa dei risparmiatori, ha perso in un mese il 35,7%, una percentuale sostanzialmente analoga a quella che le azioni hanno perso complessivamente in Borsa. Ma la situazione per il Bitcoin è particolarmente favorevole: il numero totale dei Bitcoin ‘estraibili’ è prefissato, e inoltre c’è stato da poco l’halving, cioè il dimezzamento di quelli ancora da estrarre.
Per l’Ethereum invece il calo in un mese è stato del 49,1%, più di quanto abbia perso la Borsa nello stesso periodo, e  l’XRP (il Ripple) è in rosso del 41,8%: due risultati equivalenti pur nella differente struttura della valuate, con la seconda incentrata su un network di banche, e la prima decentralizzata (come il Bitcoin).

Risultati, tutti e tre, che non sostengono l’immaginario delle criptovalute come valori di riserva nei momenti di crisi sistemica. L’oro, a titolo di esempio mostra aspetti di stabilità ben superiori come strumento di riserva: 48 euro al grammo un mese fa, 45 euro venerdì.
Ovviamente, per giudicare la bontà o meno di un qualsiasi investimento, non si può prescindere dai valori di carico, e in questo senso l’instabilità delle criptovalute è un parametro che consente grandi guadagni, così come grandi perdite: un conto è avere in portafoglio bitcoin acquistati a mille dollari, e un altro, ben diverso, averne comperati a 18.000 dollari meno di due anni fa.

Massimo Bolchi