di Massimo Bolchi
Con l’aumento dell’interesse degli investitori per l’intelligenza artificiale, molte aziende hanno improvvisamente presentato le loro roadmap di prodotti AI. Tuttavia, per gli investitori è difficile trovare aziende attive nell’IA che già ottengono ricavi dall’IA generativa, come fanno Microsoft e Nvidia. Per molte aziende, come la società madre di Google, Alphabet, l’ascesa dell’IA generativa rappresenta sia un rischio sia un’opportunità.
Ma attenzione, perché vi è una differenza fondamentale tra Microsoft, che – attraverso OpenAI – ha investito, con ottimi risultati borsistici, nel ‘software’ dell’Artificial Intelligence, e Nvidia, che produce i chip, i semiconduttori che traducono questo software in realtà. Nvidia, in effetti, ha registrato nel quarto trimestre un fatturato triplicato rispetto all’anno precedente, battendo le aspettative più elevate: i ricavi sono cresciuti del 409% a 18,4 miliardi di dollari, mentre la valutazione della società ha raddoppiato il precedente valore, facendone la terza azienda più capitalizzata del pianeta, trascinando al rialzo tutti i listini globali.
Non è quindi una sorpresa che i concorrenti si siano impegnati nella produzione di semiconduttori: Qualcomm, per esempio, punta a costruire gli Snapdragon AI per gli smartphone Android e lo IoT. Mentre ARM, un altro produttore di chip adatti all’AI, ha guadagnato il 70% in Borsa nel 2024. Ma i sistemi di intelligenza artificiale richiedono un’enorme potenza di calcolo per trovare modelli e fare inferenze da grandi quantità di dati. E il denaro del venture capital sta affluendo anche a molte startup di chip AI, quali AI Cerebras, Sambanova e Graphcore. Le startup di chip AI includono anche nomi come Groq, Hailo Technologies, Kinera, Luminous, Ateris IP e Mythic. Nomi ancora sconosciuti al grande pubblico, ma pronti a compiere il definitivo salto tra i ‘dominatori’ del comparto.
Comparto che vedrà una crescita esponenziale: secondo IDC, il mercato raggiungerà i 151 miliardi di dollari entro il 2027, aumentando a un tasso medio dell’86% annuo, con Broadcom e Marvell Technologies, altri produttori di chip AI di grande interesse, che prevedono che le loro vendite legate all’intelligenza artificiale raddoppieranno quest’anno. Tuttavia, occorre tener conto anche della ‘concorrenza interna’: Masayoshi Son, Fondatore del gruppo SoftBank, il principale azionista di ARM, ha messo gli occhi su una nuova impresa: un’azienda di chip per l’intelligenza artificiale da 100 miliardi di dollari, denominata Project Izanagi, che potrebbe rivaleggiare con gli attuali leader dell’AI come Nvidia, innanzitutto, ma anche Intel e AMD.
SoftBank ‘deus ex machina’ delle nuove iniziative
Son intenderebbe investire 30 miliardi di dollari da SoftBank, mentre i restanti 70 miliardi di dollari potrebbero provenire da istituzioni mediorientali, quali i fondi sovrani degli Stati del Golfo. Softbank è anche una delle aziende che si dice siano interessate all’acquisto del progettista di chip britannico Graphcore, in difficoltà economiche. Ed è di questa settimana la notizia che a Barcellona, al MWC, SoftBank abbia stretto un accordo con le principali società di telecomunicazioni mondiali, come il principale operatore di telefonia mobile della Corea del Sud, SK Telecom, e il più grande fornitore di servizi di telecomunicazione europeo, Deutsche Telekom, per dare una scossa al settore dell’intelligenza artificiale, attualmente dominato dalle società di Big Tech.
Un simile dinamismo in direzioni tanto diverse di sviluppo non è certamente normale, ma è ben indicativo della frenesia che attualmente pervade il settore, stretto com’è tra le enormi potenzialità di ogni singolo passo avanti che si compie, e il FOMO (Fear of Missing Out), che sta terrorizzando la gran massa degli operatoti alla disperata rincorsa dei ‘primi della classe’. E a questo proposito non si può tralasciare di citare il primo della classe per eccellenza, quel Sam Altman che, non contento di aver fondato OpenAI e sviluppato ChatGPT, starebbe per lanciarsi in una nuova avventura. Nel settore dei chip indispensabili per far crescere l’hardware della AI.
I sette mila miliardi di investimenti del fondatore di OpenAI
E senza mezze misure: 7.000 miliardi di dollari da investire in fabbriche di chip. Tanto per dare un’idea concreta del valore reale di questa cifra: supera largamente i cap value di Microsoft e Apple, i primi due titoli per capitalizzazione a Wall Street.
“La costruzione di infrastrutture AI su larga scala e di una catena di approvvigionamento resiliente è fondamentale per la competitività economica”, ha scritto su X la settimana scorsa. E sebbene le sue parole possano sembrare ragionevoli, il prezzo riferito del progetto è decisamente insolito per qualsiasi standard.
La richiesta di Altman di 7.000 miliardi di dollari supera ogni numero disponibile sul mercato dei chip oggi. Il fatturato totale del mercato dei chip è stato di circa 520 miliardi di dollari nel 2023, con un calo di circa il 10% rispetto al 2020, secondo il consorzio dell’industria dei semiconduttori SEMI. I numeri si riprenderanno e cresceranno fino al 16% nel 2024, ha dichiarato Ajit Manocha, presidente e CEO di SEMI, in un post sul suo blog, ma una disparità superiore un fattore 10x va oltre ogni immaginazione. Lo sforzo di Altman per aumentare la potenza di calcolo globale (e quindi anche per garantire il futuro) non avviene nel vuoto, ma in un momento in cui il settore dei chip ha un estremo bisogno di lavoratori e di risorse materiali, e soprattutto in un periodo di rivalità tra superpotenze. Stati Uniti e Cina proteggono con determinazione il settore, impedendo l’esportazione di materie prime e la vendita di azioni a soggetti stranieri.
La concorrenza cinese
Con riferimento a questo argomento, in una recente comunicazione alla Securities and Exchange Commission (SEC) degli Stati Uniti, Nvidia ha riconosciuto per la prima volta il gigante tecnologico cinese Huawei come un concorrente significativo per le unità di elaborazione grafica (GPU), le unità di elaborazione centrale (CPU) e i chip di rete. In particolare, i chip Ascend di Huawei rappresentano una valida alternativa ai suoi chip A100, in particolare tra le società cinesi di intelligenza artificiale e cloud come Baidu e Tencent. E Nvidia, per non perdere la sua prevalenza in Cina, ha iniziato a offrire i suoi ultimi chip AI, progettati per rispettare le normative sull’esportazione senza richiedere una licenza, ai clienti cinesi della regione.
… e addio alla sostenibilità
L’industria dell’intelligenza artificiale, infine, attualmente tiene segreta la maggior parte dei costi, forse perché si tratta di un segreto industriale o forse perché è invece un reale disastro ecologico: i chip si trovano all’interno di enormi centri dati, che richiedono imponenti quantità di elettricità e grandi accumuli di acqua per essere raffreddati. Microsoft avrebbe aumentato i consumi d’acqua del 34% nell’ultimo anno, quando l’AI è stata introdotta, per citare uno dei pochi casi di cui si è a conoscenza.