Ma quali sono i numeri del Digital Audio italiano? A questa domanda ha cercato di dare risposta la ricerca di BVA-Doxa, effettuata a maggio di quest’anno, quindi dopo il primo lockdown che ha rappresentato un boost potente per certa tipologia di consumi digitali, dal video streaming ai videogame. La ricerca è stata condotta sulla base di 1.000 casi, estratti dalla popolazione italiana 18-64 anni (quindi il target commerciale tipico della TV) e distribuiti su tutto il territorio nazionale.
Ne emerge un profilo di crescita, a partire dalla conoscenza del podcast: quasi il 90% degli italiani sa che cos’è, mentre ben il 39% dichiara di conoscerlo ‘bene’, a fonte di uno sparuto 13% che lo ignora. Tra coloro che lo conoscono bene, poi, la percentuale di utenti è elevata: circa il 90%, mentre gli Heavy user – ascolto di almeno un podcast alla settimana – raggiungono un sorprendente 64% degli utenti informati. Prevalgono leggermente gli uomini, sovrarappresentati sia tra gli Heavy sia tra i Light User, mentre maggiore è la presenza delle generazioni più giovani, ma non troppo, con un +11% tra chi ha meno di 34 anni. Come canale prescelto, invece, è netta la dominanza di Spotify, con oltre il 67% (73% tra gli Heavy User). Seguono i canali dei singoli autori e le testate, poi Apple Music e Audible (Amazon). Ancora poco rappresentati Spreaker e Overcast, con meno del 10% ciascuno.
Interessante anche l’uso di strumenti tipici del Mobile Audio, come lo Smartphone, che domina con il 67%, a fronte di un PC ridotto ai minimi termini (poco più del 23%), mentre sorprende il balzo compiuto dagli smart speaker, arrivati alla quota significativa del 10%. L’utilizzo del podcast è tipicamente multitasking, ascoltato mentre si fa qualcosa d’altro, ma fa riflettere il 37% di ascoltatori puri, che si concentra solo sul podcast: un cambiamento significativo rispetto agli ascolti della Radio, il media che concettualmente più si avvicina ai podcast.
Pochi minuti per scegliere
Considerando la grande offerta di podcast disponibili online, diventa essenziale catturare l’attenzione dell’ascoltatore per farsi seguire: qui si nota che l’abitudine televisiva allo zapping ha fatto scuola, con 50% degli ascoltatori che è disposto ad attendere solo pochi minuti di ascolto prima di decidere il destino del podcast prescelto.
“Una percentuale elevata, il 50% degli ascoltatori, lascia all’autore solo i pochissimi minuti prima di passare ad altro”, sottolinea Antonio Filoni, Head of Digital di BVA-Doxa. “Una selezione drastica, che ribadisce l’importanza della ‘cattura’ immediata dell’attenzione dell’ascoltatore, benché vi sia anche un 38% che arriva al termine della prima puntata prima di formarsi un’opinione. Decisamente residuale la quota di colore che seguono anche la seconda o le successive puntate di una serie che non li ha soddisfatti all’esordio”.
A questo proposito è essenziale anche la tempistica: nel caso di una serie di cui non sia prevista inizialmente la possibilità di ‘binge listening’, la cadenza delle nuove puntate deve essere al massimo settimanale. “Meglio le puntate autoconclusive, di durata inferiore a 45 minuti l’una”, ricorda Filoni, “benché tutto alla fine dipenda dall’argomento, dalla sua capacità o meno di suscitare l’interesse degli ascoltatori. A questo riguardo, attualmente ogni ascoltatore segue in media due o tre serie, più o meno divise tra interessi professionali (il 30% circa) ed entertainment, inteso come divagazione sugli interessi personali, nettamente prevalenti, con una quota supeiore all’80%. Ovviamente queste risposte non sono escludenti, per cui vi è una sovrapposizione tra utenti di un tipo e dell’altro”.
Per suscitare l’interesse è fondamentale, insieme all’argomento, anche il nome del conduttore, mentre le presenza in Google, che non risulta essere tra i preferiti come piattaforma di podcast, è comunque essenziale ai fini della SEM. La scelta, comunque, è per il 62% effettuata sui motori di ricerca delle piattaforme (Spotify e Audible soprattutto), a conferma della centralità, per ora, del canale prescelto.
I ricavi del podcast
I podcast possono essere venduti, come tutti i prodotti di aggiornamento professionale o divertimento, ma per il momento la quota di quelli pagati, benché non trascurabile, è nettamente minoritaria: solo 2 su 10 possono essere definiti ‘pay’ (senza entrare nel merito se la quota versata per la fruizione sia sufficiente a coprire le spese della produzione dello stesso). Tutti gli altri sono gratuiti, fruiti senza contribuzione specifica o all’intero di un abbonamento collettivo. Diventa quindi essenziale, per verificare la sostenibilità economica dei podcast, scoprire quale sia l’atteggiamento dei consumatori verso la pubblicità, che può assumere la forma di preroll (prima dell’ascolto) o quella di midroll, all’interno dell’ascolto.
In generale, questo atteggiamento può essere definito positivo, con un elevato tasso di ricordo, circa l’80%, ma un basso tasso di moderata ripulsa: solo il 15% circa che definisce frequente il suo inserimento. Si può quindi concludere che la presenza della pubblicità sia meno invasiva rispetto ad altri media. Molto elevato appare l’interesse verso i progetti di Branded Podcast se la tematica è di interesse per l’ascoltatore, mentre è alto anche l’interesse delle pubblicità legate alla tematica del podcast; quindi settore molto promettente, in vista del l’addressable advertising basato sul data management reso possibile dal programmatic.
Il momento preferito dal 75% degli utenti è all’inizio del podcast, un momento in cui la pubblicità è in grado di sviluppare il suo maggiore impatto se inerente con il tema del podcast stesso.