Gli influencer, quei personaggi a metà strada tra i creativi e le celebrity, rappresentano un comparto che continua a crescere. Un mercato che matura, tanto da mettere a segno una crescita del 45% YoY come investimenti, e raccogliere di conseguenza un’alta percentuale di soddisfazione tra le aziende di brand.
Ma al di là dei numeri, a volte realmente impressionanti, delle visualizzazioni e dei follower, restano ancora da definire punti importanti, quali la valutazione del peso reale della campagne effettuate, come scegliere gli influencer più adatti al fabbisogno specifico dell’impresa in un momento dato, e su quali basi stabilire delle relazioni durature con i singoli influencer per elaborare strategie ad hoc.
Per queste ragioni si è tenuto un Web Talk promosso da Competence, intitolato ‘Influencer e Opinion Leader: cosa cambia davvero?’ in cui, sei diversi addetti ai lavori si sono confrontati, con la moderazione Lorenzo Brufani, CEO di Competence: Simone Santucci, Addetto Stampa Presidenza del Consiglio dei Ministri; Federica Di Nardo, Content Creator; Monica Lazzarotto, Direttore Responsabile di Youmark; Stefano Reali, Direttore Marketing e Comunicazione di Arborea; e Mara Stragapede, Influencer Marketing Expert.
Dal confronto sono emersi alcuni punti fermi e altri meritevoli di futuri approfondimenti: innanzitutto la singolarità del profilo, mediatico, funzionale e personale, dell’influencer, ben distinto da quello del testimonial, il cui ruolo di garante e suggeritore di un brand è molto diverso da quello di un personaggio che, per quanto famoso, rimane nella percezione dei consumatori un ‘pari’ e proprio su questa relazione di fondo costruisce la sua community, da seguire e curare con attenzione.
Perché il momento della verità, che si tratti di un macro-influencer da milioni di follower o di un micro-influencer da poche decine di migliaia, rimana sempre quello di mettere alla prova la ‘credibilità’ costruita nel tempo con un contenuto che è targato ‘adv’ o ‘sponsored’. Ed è qui che si vede la differenza tra chi pubblica foto capaci di richiamare le persone e chi è davvero ‘creator’, è cioè capace di costruire contenuti che, rispettando ovviamente il brief ricevuto dall’azienda, siano interessanti e coinvolgenti per uno specifico target.
Va da sé che la specializzazione su un determinato settore, il turismo, il food, il beauty, il fashion, rende più agevole costruire contenuti condivisi, ma resta il fatto, incontrovertibile, che i contenuti brandizzati sono meno attrattivi di quelli formalmente spontanei. Anche influencer con milioni di follower fedeli – un nome su tutti: Chiara Ferragni – sono molto più seguiti quando posta avvenimenti della vita personale, o del figlio, o della famiglia, di quando posta contenuti che, pur con tutte le cautele del caso, mettono in evidenza un brand.
Che poi, ed è questa la ragione ultima del successo di tanti influencer, non è solo e non tanto il numero assoluto di follower o di like, ma è proprio la capacità di costruire relazioni solide con la propria community, che vede – e se del caso condivide – contenuti reputati di valore, brandizzati o meno. Ed ecco allora che la difesa della propria credibilità deve essere altrettanto importante, quanto meno, dell’aderenza alle linee guida della comunicazione di brand. Oggi infatti, più che di brand awareness si parla, per gli influencer, di contribuire alla costruzione della brand equity: valori coerenti, che sono gli stessi per l’influencer e per la marca, che costruiscono un capitale da far fruttare nel tempo.
Ma oggi, purtroppo, a essere enfatizzata è la logica del breve periodo, del qui e ora, che mette a rischio anche la credibilità conquistata da tanti influencer che ora sono sollecitati a portare risultati: lo sviluppo del social commerce sta infatti disegnando un’altra categoria di persone, gli instant influencer, che mostrano un brand e, tramite un link a un commerce, rendono possibile la transazione immediata. Un fenomeno che sta arrivando dalle Cina e di cui in Italia si vedono le prime avvisaglie.
Come si vedono specializzazioni in atto sulle diverse piattaforme social, come i CEO – o in generale i C-Level – che parlano in prima persona della proprie aziende su LinkedIN: un’altra versione degli influencer, che risponde sempre e comunque alla proprie logiche e alla propria audience specializzata di interlocutori.