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In Brasile Elon Musk non è un eroe della libertà di parola, ma la magistratura brasiliana mostra limiti democratici notevoli

Brasile vs X
di Massimo Bolchi

Sinteticamente, diamo un’occhiata rapida a quanto è accaduto – e accade, perché la vicenda non è ancora conclusa – nella querelle tra Elon Musk e il Corte Suprema del Brasile, perché X di fatto è solo un pretesto nella contesa a ‘chi molla per ultimo’. E i primi segnali mostrano che sarà Musk a cedere, non intendendo mettere a rischio gli altri suoi business, molto più profittevoli del social media in questione, nel gigante sudamericano.

Dopo che X ha ignorato gli ordini del tribunale di bloccare più di 140 account accusati di diffondere fake news, lo stesso tribunale ha avvertito che avrebbe arrestato il suo rappresentante legale in Brasile. Questo ha spinto ovviamente Musk ad allontanare il team di X dal Paese. La mancanza di una rappresentanza fisica in Brasile, a sua volta, ha indotto il giudice della Corte Suprema brasiliana Alexandre de Moraes a ordinare il blocco di X per tutti i 220 milioni di brasiliani che, come ha ribadito esplicitamente, incorrerebbero in multe di quasi 9.000 dollari al giorno se tentassero di aggirare la restrizione, ad esempio utilizzando ad esempio VPN. A dire il vero, in un primo tempo questa app erano state bandite dai online market del Paese, ma poi la misura si era attenuata nell’applicazione, anche se alcune VPN erano effettivamente scomparse dagli app market di Android e Apple.

“Di conseguenza, probabilmente perderemo tutte le entrate in Brasile e dovremo chiudere il nostro ufficio. Ma i principi contano più del profitto”, aveva anticipato Musk, chiedendo in un altro tweet, al giudice di dimettersi o di essere sottoposto a impeachment.

Il giorno seguente, de Moraes ha aperto ufficialmente un’inchiesta sulla condotta di Musk. Ma attenzione: qualunque sia la minaccia alla democrazia rappresentata dagli account che Moraes voleva eliminare, la minaccia di un funzionario governativo che limita la parola di 220 milioni di persone è maggiore. Insieme alla successiva decisione di Moraes di congelare i beni dell’internet provider Starlink, una società separata di Musk, questa mossa allinea il Brasile non al mondo libero, ma a quello cinese e russo dove tutti i social occidentali sono bloccati da una barriera quasi insormontabile di firewall.

I rischi per la libertà di espressione

La campagna di rimozione di Moraes potrebbe essere stata efficace nel combattere le teorie cospirative della destra, ma ha un costo sostanziale per la libertà di espressione, con ingiunzione di rimozioni, congelamento di conti correnti bancari e persino mandati di arresto spesso emessi con scarse motivazioni a sostegno, come è accaduto per Homero Marchese, rappresentante della stato del Paraná. Tornando al ‘caso Starlink’, l’azienda ha fatto sapere in un comunicato che “questo ordine (il congelamento dei beni) si basa sulla determinazione infondata che Starlink debba essere responsabile delle multe imposte – in modo incostituzionale – contro X. È stato emesso in segreto e senza fornire a Starlink alcuno dei processi legali garantiti dalla Costituzione del Brasile. Intendiamo affrontare la questione per vie legali”.

Invece, dopo una iniziale resistenza, Starlink si è assoggettata al dictat e ha fatto sapere che “a prescindere dal trattamento illegale nel congelamento dei nostri beni, stiamo rispettando l’ordine di bloccare l’accesso a X in Brasile”, come scritto dall’azienda, che ha oltre 200.000 clienti nella nazione più grande dell’America Latina, in un post su X martedì. Questo a conferma di quanto accennavamo all’inizio, cioè che la determinanzione di Musk sta cedendo. Perché quando si tratta di libertà di espressione, Elon Musk tende a parlare più di quanto si comporti nei fatti, considerando la vastità e la diversificazione dei suoi interessi economici, che lo rendono aggredibile su più fronti.

In questa ultima battaglia sul tema, tuttavia, sta riuscendo a fare entrambe le cose. Il miliardario Ceo di Tesla e SpaceX ha ragione quando dice che la mossa di un giurista brasiliano di proibire unilateralmente a X, di cui è proprietario, di operare nel Paese è un attacco alla libertà di espressione su Internet in tutto il mondo. Ma non è disposto a mettere a rischio il suo patrimonio oltre un certo limite. Per esempio, è un fatto, come sostiene Matteo G.P. Flora in recente podcast della serie ‘Ciao Internet’, che il Primo Emendamento, caposaldo statunitense del ‘free speech’, non esiste in Brasile. Anzi la legislazione brasiliana prevede la prevalenza dei diritti sociali collettivi su quelli individuali, quando questi vengono a conflitto. Di conseguenza l’appello di Musk non ha basi legali neppure per essere discusso nel caso – peraltro improbabile – venisse presentato.

Elon Musk non è un ‘eroe del free speech’, ma questo conta molto poco

In ogni caso, anche quando si tratta di rispettare le regole di controllo del linguaggio di altri Paesi, l’impegno di Musk per un’espressione libera è stato incoerente. Altre aziende, come Meta e Google, sfidano abitualmente in tribunale gli ordini che ritengono discutibili e pubblicano informazioni sulle loro azioni legali. Twitter faceva lo stesso, quando era Twitter. Ora, come X, l’azienda sembra preferire scegliere le proprie posizioni legali in base a una serie di valori non ben definiti. Non si trova nemmeno un rapporto sulla trasparenza, ma tutti i segnali indicano un aumento piuttosto che una diminuzione della conformità alle richieste degli Stati. Molti degli ordini a cui X si è attenuto non avevano alcuna giustificazione, se non quella di preservare alcuni leader: X, ad esempio, ha acconsentito a eliminare i collegamenti in India a un documentario della BBC che criticava il primo ministro Narendra Modi. Anche nel caso del Brasile, Musk non ha presentato alcun reclamo in nessuna sede. Ha semplicemente assecondato i mandati ingiuntivi fino a quando, alla fine, ha rifiutato di farlo una volta di più.

Ma tutte queste incoerenze, mentre rendono Musk ineleggibile come campione della libertà di parola sempre e dovunque, non risolvono l’anomalia brasiliana, in cui un giudice può essere allo stesso tempo procuratore, giudice instruttore e magistrato giudicante. Né rendono accettabile un sistema che richiede la nomina di un rappresentante legale per poterlo incarcerare e privare di beni personali: quando Apple ha resistito giudizialmente alla pretesa dell’FBI di accedere ai contenuti di un iPhone sequestrato a un attentatore, nessun giudice americano ha minacciato di incarcerare Tim Cook, Ceo dell’azienda, o di sequestrargli il patrimonio, mentre ancora il processo era in corso.

Per questo motivo, i brasiliani non dovrebbero supportare un governo che opprime i punti di vista politici diversi , per quanto ripugnanti possano essere, secondo le opinioni di un giudice, sia pure della Suprema Corte. Lo stesso Musk avrebbe il diritto di dire la sua e di avere un processo legale, nonostante la demagogia del Presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva sostenga il contrario: “Il mondo non è obbligato a sopportare il pensiero di estrema destra di Musk solo perché è ricco”, ha dichiarato, schierandosi totalmente dalla parte del Giudice de Moraes. Una risposta che si riflette negativamente sulla vocazione democratica del Presidente da Silva, che pure è stato legittimamente eletto nel 2022, e ha vissuto vicende analoghe.

E l’intero episodio si sta trasformando in un ammonimento per tutte le ‘autentiche’ democrazie, che credono che la risposta alle espressioni problematiche online sia la loro soppressione.