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I Premi Nobel per la Fisica e per la Chimica sono stati assegnati a scienziati che hanno ‘utilizzato’ l’intelligenza artificiale per le loro scoperte. Ma in un futuro non troppo lontano le cose andranno ancora così?

Nobel

di Massimo Bolchi

I Premi Nobel per la Fisica e per la Chimica sono stati assegnati a lavori che hanno profonde implicazioni con l’Intelligenza Artificiale (AI): sarebbe stato curioso se questo non fosse avvenuto, vista la rivoluzione che l’AI (la GenAI per la precisione) sta apportando in tutti gli ambiti di attività

Il primo ha visto ‘incoronati’ l’americano John Hopfield, dell’Università di Princeton, e il britannico Geoffrey Hinton, dell’Università di Toronto. Mentre Hopfield è un fisico, Hinton ha studiato psicologia sperimentale prima di dedicarsi all’intelligenza artificiale.

Il lavoro di Hinton e Hopfield ha utilizzato concetti fondamentali della fisica e delle neuroscienze per sviluppare strumenti di intelligenza artificiale in grado di elaborare modelli in grandi reti di informazioni. La macchina di Boltzmann, inventata da Hinton, era in grado di apprendere da esempi specifici piuttosto che da istruzioni. La macchina era quindi in grado di riconoscere nuovi esempi di categorie su cui era stata addestrata, come le immagini di gatti Questo tipo di software di apprendimento, noto come reti neurali, costituisce oggi la base della maggior parte delle applicazioni di IA, come i software di riconoscimento facciale e i modelli linguistici di grandi dimensioni, la tecnica alla base di ChatGPT e di Gemini di Google.

Il premio per la chimica, invece, è stato condiviso dal biochimico David Baker, dell’Università di Washington, e dagli informatici Demis Hassabis e John Jumper, che lavorano entrambi presso Google DeepMind nel Regno Unito. Hassabis e Jumper hanno creato AlphaFold, che nel 2020 ha risolto un problema con cui gli scienziati hanno lottato per decenni: prevedere la struttura tridimensionale di una proteina a partire da una sequenza di amminoacidi. Da allora lo strumento di intelligenza artificiale è stato utilizzato per prevedere le forme di tutte le proteine conosciute dalla scienza. L’altra metà del premio è andata a Baker, per il suo lavoro sulla progettazione computazionale delle proteine: un completamento del lavoro svolto in Inghilterra

I comitati per il Nobel hanno riconosciuto il potere di trasformazione dell’intelligenza artificiale in due dei premi di quest’anno, onorando i pionieri delle reti neurali nel premio per la fisica e gli sviluppatori di strumenti computazionali per studiare e progettare le proteine nel premio per la chimica. Ma non tutti i ricercatori condividono le posizioni della Swedish Academy. Le obiezioni, che entrano nel merito delle assegnazioni, sono relative all’argomento dei Nobel, alla numerosità dei team di ricerca odierni, e infine alla ‘quantificazione’ dell’apporto dell’AI sul lavoro premiato.

Obiezioni alle decisioni sui Nobel, nel merito e nel metodo

Passiamoli in rassegna uno per uno, iniziando proprio dal più tradizionale: il lavoro sull’AI non può essere considerato ‘fisica’. Lo sostengono non pochi ricercatori, come Jonathan Pritchard, astrofisico dell’Imperial College di Londra, che ha scritto su X i concetti forse più forti contro la nomina: “Sono senza parole. Mi piacciono l’apprendimento automatico e le reti neurali artificiali come a chiunque altro, ma è difficile comprendere in che modo questa sia una scoperta della fisica. Immagino che il comitato del Nobel sia stato colpito dall’hype per l’AI”.

Fin qui, comunque, si potrebbe ridurre la discussione alle consuete diatribe tra scienziati, che spaccano il capello in quattro per trovare quale sia l’ambito più opportuno per categorizzare una ricerca che spazia dalla fisica alla matematica, dall’informatica alle neuroscienze. Dopotutto, e qui citiamo un altro luminare invece favorevole, “le ‘reti di Boltzmann’ inventate da Hinton e le reti di Hopfield sono entrambe modelli basati sull’energia”. A partire dall’assegnazione del secondo Nobel, quello per la chimica, a Maria Salomea Skłodowska-Curie, questi dibattiti sono diventati una consuetudine nell’ambito del più prestigioso premio al mondo.

Più fondate, semmai, le obiezioni sulla numerosità dei team di ricerca, da cui estrarre al massimo tre nomi: qui ci stiamo allontanando dall’AI per entrare in una contesa molto più ampia. Per esempio i ricercatori di DeepMind (di Google) non si possono certamente ridurre ai due premiati, e la stessa AlphaFold non sarebbe stata possibile se non fosse già esistita la Protein Data Bank, un archivio liberamente disponibile di oltre 200.000 strutture proteiche – tra cui alcune che hanno contribuito a precedenti Nobel – determinate con cristallografia a raggi X, microscopia crioelettronica e altri metodi sperimentali. Ma questo voler risalire alle origini è un metodo più da archeologo che da premio Nobel, che fotografa lo stato dell’arte contemporaneo di una disciplina, e non vuole assurgere a ‘verità codificata’ valida in eterno. Altrimenti sarebbe necessario ricordare sempre che senza il supporto di William Preece, Chief Electrical Engineer del General Post Office inglese, gli esperimenti di Guglielmo Marconi sarebbe fracassati, altro che Nobel.

Resta l’ultimo punto in discussione: quanto ha ‘pesato’ l’AI nelle scoperte? “Non si è trattato solo di andare al lavoro, premere il pulsante dell’intelligenza artificiale e poi andare tutti a casa”, ha messo le mani avanti Jumper durante un incontro con la stampa presso DeepMind il 9 ottobre. “È stato davvero un processo iterativo in cui abbiamo sviluppato, fatto ricerca, cercato di trovare le giuste combinazioni tra ciò che la comunità capiva sulle proteine e come costruire queste intuizioni nella nostra architettura”. Per adesso questo è probabilmente esatto, ma domani, con gli inevitabili progressi dell’AI? Resterà ancora da stabilire quanto di ‘umano’ e quanto ‘di macchina’ ci sia in ogni scoperta. Oppure ogni risultato sarà di default attribuito all’investigatore umano?

Uno sguardo all’evoluzione futura dell’AI

In futuro, comunque, potremmo vedere le macchine prendere il posto degli scienziati, con gli esseri umani relegati a un ruolo di supporto. Se così fosse, forse lo strumento dell’intelligenza artificiale otterrà il premio Nobel principale, mentre gli esseri umani avranno una categoria a sé stante.

Distopia? Forse, ma non trascuriamo, mentre siamo ancora in tempo, la parole dello stesso Premio Nobel Hinton che, sebbene riconosca che l’AI potrebbe trasformare in meglio alcune parti della società – portando ad esempio a un “enorme miglioramento della produttività” in settori come l’assistenza sanitaria – ha anche sottolineato, da bravo psicologo, il potenziale di “una serie di possibili conseguenze negative, in particolare la minaccia che queste cose sfuggano al controllo”.

Una preoccupazione condivisa da non pochi esseri umani, realmente preoccupati che il risultato finale di questo processo possa essere la creazione di sistemi più intelligenti di noi, che alla fine prendano il controllo e il potere.