Parte l’assalto di Huawei al Google Play: così si potrebbe interpretare il comunicato sullo Huawei AppGallery distribuito dal produttore cinese in occasione del lancio in Europa degli ultimi modelli di telefono – a partire dai Mate 30 e Mate 30 Pro – che non potranno essere supportati dai Google Mobile Service (GMS) a causa dell’embargo statunitense.
Ovviamente la cosa non è esplicitata in questo modo da Huawei: “La graduale diffusione della rete 5G rappresenta un’occasione per poter offrire agli utenti un’esperienza mobile rivoluzionaria”, recita infatti la nota distribuita alla stampa internazionale “I consumatori utilizzano sempre più dispositivi in varie occasioni e le app mobile sono la chiave per un’esperienza sempre più ricca e iperconnessa. Proprio per questo Huawei vuole essere in prima linea e far parte del cambiamento per soddisfare la domanda sempre crescente di app intelligenti”.
Ma la realtà dei fatti non è proprio questa. “Esattamente come le principali app di marketplace conosciute in tutto il mondo, Huawei AppGallery è disponibile in oltre 170 paesi con 400 milioni di utenti attivi mensilmente, e offre applicazioni e servizi in tutto il mondo”, prosegue la nota, mentre Google, Google Play e Android non sono neppure citate.
Questo perché una delle conseguenze delle restrizioni imposte a Huawei dall’amministrazione Trump è l’impossibilità per l’azienda cinese di accedere alle licenze dei servizi Google, i GMS appunto, per i nuovi dispositivi. Non saranno perciò disponibili app molto popolari, quali YouTube, Gmail, Google Maps, Drive, l’assistente virtuale di Google, e tutte quelle a cui sono abituati gli utenti occidentali. Ecco il perché del lancio dello Huawei AppsGallery, che offre una nuova alternativa agli utenti.
Le applicazioni disponibili sull’AppGallery possono appoggiarsi ai cosiddetti Huawei Mobile Services, cioè un insieme di API e servizi creati e mantenuti dall’azienda che sostituiscono in toto le funzionalità offerte dai servizi Google. In Cina, dove i dispositivi di Huawei non possono accedere ai GMS, è già così da tempo, e i cinesi si sono velocemente abituati a usare prodotti che ‘girano’ sull’infrastruttura software di Huawei.
La strategia di Huawei per i nuovi smartphone, o meglio: l’unica al momento adottabile, è dunque proporre dispositivi su cui gira ancora Android nella versione ‘open source’ e aspettarsi che gli utenti occidentali utilizzino le app alternative di Huawei.
Il nuovo OS di Huawei, infatti, si farà aspettare ancora un po’: pur in assenza di certezze al riguardo, l’Harmony OS non sarà pronto prima di un altro anno, come ha confessato il presidente di Global Media and Communications di Huawei, Joy Tan. Lo sviluppo di Harmony OS, in realtà, è piuttosto avanzato, ed è già utilizzato sugli Smart TV e sui wearable device dell’azienda, ma non è ancora maturo a sufficienza per essere adottato sugli smartphone.
Certamente è possibile, per gli acquirenti dei nuovi modelli, di installare a posteriori Google Play e le relative App, proprio come fanno molti utenti dei tablet Amazon Fire, che non installa di default Google Play. YouTube è piena di tutorial che insegnano come farlo, adatti a tutti, anche i più basici come livello tecnologico, ma lo stesso giorno del comunicato di Huawei è uscito un post di ‘warning’ da parte di Google, che ha scritto come installare le app ufficiali Google (quali Gmail, YouTube, Google Maps etc.) sugli smartphone Huawei prodotti dopo il 16 maggio 2019 è al tempo stesso “inutile e dannoso”.
Lo afferma un post ufficiale apparso sulle pagine del servizio di supporto di Android “Per proteggere la privacy dei dati degli utenti, garantire la sicurezza e salvaguardare l’esperienza complessiva, Google Play Store, Google Play Protect e le app principali di Google (inclusi Gmail, YouTube, Maps e altri) sono disponibili solo su dispositivi certificati Play Protect”, spiega il post, che poi prosegue: “I dispositivi certificati Play Protect sono sottoposti a una rigorosa revisione della sicurezza e a un processo di test di compatibilità, eseguito da Google, per garantire che i dati dell’utente e le informazioni sull’app siano protetti”. Difficile credere a un coincidenza delle date.
“Mancando questa certificazione dunque”, è la conclusione, “le app potrebbero non funzionare correttamente, perché non è consentita l’esecuzione di questi servizi su dispositivi non certificati in cui la sicurezza potrebbe essere compromessa. Il sideload delle app di Google comporta anche un alto rischio di installare app alterate o manomesse in modi che possono compromettere la sicurezza degli utenti”.
Un messaggio decisamente esplicito, pur senza a sua volta nominare l’azienda concorrente e il suo Huawei AppGallery. Ma alla fine saranno gli utenti e fare la differenza: quanti di essi saranno convinti a traslocare i propri dati, le proprie foto – in breve, tutta la propria esistenza digitale – dall’ecosistema di Google a quello di Huawei?
Perché lo scontro tra l’amministrazione Trump e Huawei non è focalizzata certo sugli smartphone, ma è legata alla ben più importante partita del 5G, dove le infrastrutture di Huawei dominano il mercato globale e i concorrenti europei – Ericsson e Nokia – non sembrano in grado di reggere la competizione. Il convitato di pietra è appunto il governo cinese, considerato dall’amministrazione statunitense il controllore ultimo dell’operazione: un mezzo per controllare e insidiarsi nelle comunicazione e nei dati di tutti. Cosa ovviamente smentita da Huawei.
In ogni caso, a meno di improvvise distensioni politiche-commerciali, si profila un possibile riassetto del duopolio Apple-Google, cosa che non è riuscita neppure a Microsoft con il suo Windows Mobile ai tempi in cui era ancora proprietaria di Nokia.
Comunque vada a finire, sarà uno scontro interessante da osservare.