di Massimo Bolchi
Greg Hoffman è stato Global Head of Brand in Nike per 28 anni e ha trasformato una azienda di scarpe in un vero fenomeno culturale. Le campagne più iconiche di Nike sono frutto del suo lavoro. È autore di ‘Emotions by Design’, best-seller mondiale tradotto in 13 lingue e vero e proprio manifesto delle intersezioni tra tecnologia, marketing e creatività. A Intersections Greg Hoffman racconta, in conversazione con Giuseppe Stigliano, President di Spring Studios, come razionalità e emotività debbano combinarsi per creare brand experience memorabili.
“Il design non è un dipartimento”, inizia Hoffman andando al centro della sua visione. “Il design è l’origine della forza del brand, ed è pervaso di empatia”, afferma, ricordando che il modello di sneaker forse più venduto risale al 1982, ed è ancora in produzione, perché ha saputo essere emozionale e conquistare il cuore di una pluralità di community che si sono susseguite negli anni.
“Il marketing non è far sì che la gente voglia quello che si produce, ma produrre ciò che la gente vuole. Una sottile differenza che rappresenta una totale rovesciamento della prospettiva, e che non è stato ancora compreso da tutti”, continua Hoffman. “Le migliori marche, i migliori brand sono di conseguenza quelli che si domandano innanzitutto non che prodotto vuole la gente, ma che cosa desiderano davvero, implicitamente molto spesso. Si tratta di fare un investimento emozionale, di scoprire quali sentimenti inespressi sono nascosti in un dato prodotto, e liberarli per far sì che la loro emersione coincida che un nuovo passo avanti per tutti”.
“Si pensi ad esempio al World Running Day: iniziato in sordina nel 2009, è diventato una festa globale con oltre 100 organizzazioni in tutto il mondo che lo sostengono e lo rendono possibile”, spiega Hoffman, “Non si tratta più di vendere calzature da corsa, o magliette, o tute sportive: si tratta di fare parte di una grande e unica iniziativa, che rappreseneta il meglio della aspirazioni di ciascuno e punta creare un futuro in cui la pace, l’eguaglianza e lo sviluppo, attraverso lo sport e la tecnologia, hanno smesso di essere solo parole vuote per trasformarsi in obiettivi concreti e raggiungibili”.
“I partecipanti non sono più individui singoli, ma rappresentano una community unita intorno a parole d’ordine che il brand ha inizialmente vivificato e continua ad alimentare. E lo stesso accade per tutti brand che hanno un forte purpose, da Lego alla Nasa“, prosegue Hoffman.
E in effetti il purpose della Nasa non è quello di andare su Marte, ma di addentrasi nell’infinito, scoprire quello che è ancora incognito: il sogno proibito di un’infinità di generazioni di essere umani.
“E i brand sono capaci di questo ben più dei governi o delle NGO”, conclude. “Nike ha alle spalle una lunga legacy di servire gli atleti, per esempio, è questo è un valore che si presenta automaticamente alla memoria di un cliente mentre sta facendo l’acquisto: è un valore che va ben oltre gli elementi transazionali commerciali. Senza dimenticare che le buone marche creano momenti unici, ma le grandi marche creano storie uniche che durano nel tempo”.