Il recente annuncio di Google relativo al ritardo della deprecazione dei cookie di terza parte su Chrome ha scombussolato il mondo dell’ad tech anche se molti editori e inserzionisti hanno tirato un sospiro di sollievo. Le decisioni di Google, tuttavia, non dovrebbero rallentare l’impegno del nostro settore nel trovare nuove e migliori modalità di offerta pubblicitaria rilevante ai consumatori.
PubMatic non ha certo rallentato e, in collaborazione con Digiday, ha esplorato le priorità e le sfide dell’ecosistema legate all’addressability. Di recente abbiamo pubblicato La guida del media buyer all’audience addressability che ha coinvolto 130 brand e agenzie (rispettivamente il 26% e il 74% degli intervistati) per fornire il polso della situazione e un percorso da seguire. Risulta evidente dal nostro studio che molti marketer sono desiderosi di effettuare test, e la guida analizza ciò che i buyer stanno prendendo in considerazione – e le loro priorità – nel testare approcci alternativi all’addressability.
Diamo uno sguardo ad alcuni dei risultati principali del report.
Quando si parla di test, i buyer sono concentrati sulla crescita dei dati di prima parte (68% degli intervistati) così come di quelli contestuali (53%). Ma sanno che il percorso futuro non sarà unico e stanno attivamente esplorando molti approcci. È interessante notare che il 47% dichiara che i dati ‘zero-party’ rappresentano la terza tattica più diffusa.
I dati ‘zero-party’ sono quelli condivisi da un cliente in modo intenzionale e proattivo con un brand, tipicamente legati al consenso esplicito, mentre quelli di prima parte sono le informazioni che le aziende raccolgono dalle loro stesse fonti, che includono i dati comportamentali su siti web e app, i dati del CRM e quelli delle e-mail usate per gli abbonamenti.
L’approccio contestuale sta certamente tornando di moda in tutto il settore. Prima di tutto, il targeting contestuale è noto a tutti: è testato e gode della fiducia di inserzionisti, industria e persino dei consumatori. È già di per sé utilizzabile nel rispetto della privacy, poiché si basa sul contesto della pagina e non sull’individuo. Può anche essere flessibile nel senso che è in grado di allinearsi o non allinearsi con qualsiasi contenuto, perfetto quindi per il branding o la brand safety.
Se da un lato il targeting contestuale può rappresentare, in futuro, una parte importante del piano di un brand o un media buyer, molti intervistati ritengono che la tattica alternativa più efficace per la risoluzione dell’identity sarà affidarsi ai dati di prima parte.
È interessante notare che i dati ‘zero-party’ rappresentano sia un aspetto su cui focalizzarsi che un’enorme sfida per gli acquirenti. Nel primo caso poiché potrebbe trattarsi di indirizzi e-mail legati al consenso esplicito, con dati preziosi. La complessità è data, tuttavia, dalla difficoltà con cui si ottengono, a meno che non ci sia uno scambio di valore molto evidente e utile. Inoltre, i dati “zero party” hanno una scala limitata.
I buyer, infine, stanno prestando attenzione a segnali che li aiutino nei prossimi step. Guardano a gruppi come lo IAB, uno tra tanti nel settore, per creare i framework e le specifiche tecniche necessarie per un’addressability standardizzata. Molti acquirenti si affidano alle loro DSP (Demand Side Platform) per capire cosa fare, così come ai loro peer.
Come rivela lo studio di Digiday, i buyer ritengono che il percorso verso il futuro targettizzabile sarà complesso. Fortunatamente, partner come PubMatic sono impegnati ad aiutare brand, agenzie ed editori a prepararsi per un futuro senza cookie.
PubMatic è all’avanguardia nel portare l’addressability all’interno dell’ecosistema della pubblicità digitale per garantire che gli editori possano continuare a generare fatturato e gli inserzionisti ROI. Non ci sarà un percorso unico per tutti.
Qui è possibile scaricare il report completo.