CIAOPEOPLE racconta il punto di vista di un editore e la responsabilità nel parlare a un pubblico vasto, eterogeneo e sempre più attento. Un obiettivo che si concretizza nel ‘purpose’ delle testate cui fa capo: Fanpage.it, Ohga e Cookist. Ne parliamo con Giorgio Mennella, Advertising Director e Rossella Ferrara, Head of B2B Marketing.
Uno degli elementi costanti nelle analisi di mercato post-Covid è la domanda, da parte dei consumatori, per un maggiore ruolo dei ‘purpose brand’. Come questo fatto può impattare sulla pubblicità e, più in generale, sulla comunicazione delle marche?
Rossella Ferrara: Il Covid ha accelerato l’urgenza di un approccio diverso e più rilevante, perché i consumatori si sono sentiti improvvisamente del tutto impotenti rispetto al cambiamento che stava avvenendo e quindi hanno riversato le aspettative in modo maggiore verso le aziende. Ma il brand purpose è un tema strategico da diversi anni ed è per questo che, nel bene e nel male, e con un ritardo enorme, oggi ‘purpose’ è diventata la buzzword dell’industry. Basti pensare che Dove ha iniziato a promuovere una concezione più autentica della bellezza femminile sedici anni fa, nel 2004. Andando poco indietro, una ricerca di Havas di inizio 2019 ha sintetizzato bene il problema da cui scaturisce il tema di cui stiamo parlando: ‘81% of brands could disappear and European consumers wouldn’t care’. Questo dato ha preoccupato e a ragion veduta, perché ci ha rivelato che solo due brand su dieci stanno facendo il lavoro giusto che si fa con le marche: costruire valore. Così arriviamo alla rivoluzione odierna, una rivoluzione ‘necessaria’ che sta trasformando non solo il modo in cui le aziende fanno comunicazione ma pensano al proprio essere al mondo. Ne è testimonianza il movimento Stop Hate for Profits che sta dimostrando quanto siano strategiche le convinzioni dentro e fuori l’azienda.
La sfida è grande e l’impatto sulla comunicazione delle marche è enorme perché il purpose non è una moda e non deve esserlo, e mette in gioco un cambiamento culturale nel modo di interpretare i cambiamenti, pensare la marca e di farla agire, così come nell’importanza della consistency per essere credibili. Come facciamo comunicazione post Covid? Pensando alle discriminazioni e alle fratture sociali che ha purtroppo creato. Le nuove opportunità di generare valore sono qui dentro.
Alcuni dei temi attualmente sul tappeto – genere, razza , sesso – sono divisivi in sé: come trattare questi argomenti con il giusto contenuto? Adeguarsi al comune sentire è una soluzione fattibile? Oppure assumere atteggiamenti più neutri? Oppure ancora concentrarsi sui bisogni reali del consumatore nel suo quotidiano?
Giorgio Mennella: Viviamo in un tempo nel quale è doveroso esporsi nella lotta per i diritti. Non si può pensare di avere un impatto senza prendere una posizione: anche se inizialmente il rischio sembra elevato, le ricerche dimostrano che quando si sposano delle cause nel modo giusto, i promotori sono sempre maggiori dei detrattori. Quello che delude di più è l’assenza. Per questo non bisogna spaventarsi nel dire o fare le cose giuste quando si parla di temi di giustizia sociale. Un esempio che amo portare è il primo progetto di CEFA Onlus con Fanpage.it, un esperimento sociale per far riflettere sulle discriminazioni razziali. Con il nostro team branded content abbiamo pensato di polarizzare le persone con una provocazione: se in spiaggia ci fosse un recinto per gli immigrati, come reagiresti? Quello che ne segue è un contenuto che raggiunge organicamente quasi 9 milioni di persone, generando centinaia di migliaia di interazioni e – non da ultimo – in grado di cambiare realmente le cose.
Qual è la fine che attende la marche aspirazionali? Sono passate di moda? Oppure devono adeguare le ‘aspirazioni’ alle nuova realtà? Questo è solo un periodo transitorio un cambiamento definitivo?
Rossella Ferrara: Le aspirazioni continuano a essere rilevanti, ma sono cambiate perché non sono solo più individuali, bensì sempre più sociali e collettive: le persone si aspettano di costruire insieme ai brand il mondo che desiderano, per loro, per chi amano e per le nuove generazioni. I dati aiutano a interpretare questi cambiamenti o ‘tensioni culturali’ su cui fare leva, e i brand possono impegnarsi in uno stepchange importante: essere magneti, e non specchi della realtà. In Ciaopeople lo facciamo con i nostri newsbrand e questo ci premia.
Basti pensare a quanto fatto con Ohga, la testata con contenuti health, wellness e green che grazie al suo approccio scientifico – è presente un comitato scientifico che valida i contenuti medici – e il suo linguaggio pop distintivo, riesce a essere un lifestyle newsbrand credibile in grado di ispirare i lettori al cambiamento positivo.
Raccontare per informare o raccontare per coinvolgere? Qual è l’atteggiamento?
Giorgio Mennella: Raccontare e coinvolgere per fare. Lo storytelling è importante ma lo è ancora di più lo storybeing. Se parliamo poi di KPI non si può pensare di valutare l’impatto di un contenuto branded senza considerare l’engagement: è la metrica che più di tutte ci dice ‘qualitativamente’ se quel contenuto ha colto nel segno, ha diviso, o nella peggiore delle ipotesi ha lasciato indifferente. I dati di engagement ci danno una miniera di insight. Ma l’importante è che non siano delle vanity metrics. È nel racconto del reale che ricerchiamo una narrazione forte, che tanto informi quanto instilli il dubbio in credenze sfortunatamente consolidate. Informiamo coinvolgendo direttamente i nostri lettori, provando a spostare l’asticella di un’idea sempre un po’ più in alto.
Un editor con in portafoglio una pluralità di testate ha la responsabilità di parlare a un pubblico vasto, eterogeneo e sempre più attento. Come si concretizza questo obiettivo?
Giorgio Mennella: Le nostre testate hanno l’unicità di parlare a tutti con un linguaggio chiaro, quello che ci consente anche di portare temi più alti a chiunque abbia bisogno di conoscerli. Lo facciamo ad esempio anche con la nostra testata food Cookist, che punta a creare un dialogo fra la cucina casalinga e il fine dining, fra chi guarda al cibo come nutrizione e chi lo guarda dal punto di vista culturale e sociale. La responsabilità di parlare a un pubblico vasto, eterogeneo e attento è chiaramente enorme ma la viviamo in modo ‘naturale’, perché è parte del nostro dna. Ma è un mantra che guida le linee editoriali delle testate giorno per giorno e c’è un grande lavoro dietro: ci facciamo tante domande e i nostri contenuti sono pensati a lungo prima di venire alla luce in forme diverse.
Come si può costruire una audience fedele e ‘vendibile’ in un mondo digitale sempre più dominato dalle ‘bolle’ dei social media? Soprattutto per i più giovani, per i quali Instagram è già ‘anziano’ e prevalgono instant social come TikTok?
Giorgio Mennella: I social non devono spaventare gli editori e i brand, perché aiutano a far vivere la propria missione. La sfida è scendere dal piedistallo e cercare di capire le regole del singolo canale e andare a craftare il contenuto in base a quelle, con un linguaggio nativo in grado di coinvolgere. Ad esempio parte fondamentale del nostro lavoro con Fanpage.it è portare l’informazione a tutti, comprese le nuove generazioni che leggono poco e lo fanno a partire dai social. Non possiamo prescindere dalle nuove agorà, perché è lì che si crescono nuovi lettori ed è lì che abbiamo il dovere di far penetrare i nostri messaggi. Siamo riusciti nella sfida di portarli a conoscere le news, in modo diverso, traducendo i contenuti di Fanpage.it su Tiktok in un formato nuovo e fruibile da chi si aspetta di essere coinvolto in modo diverso. Abbiamo lanciato una challenge in collaborazione con la piattaforma, dal titolo ‘dicono di me’, per lanciare ancora una volta un messaggio rilevante contro i pregiudizi e gli stereotipi. La challenge ha raccolto oltre 39mio di visualizzazioni e oggi Fanpage.it è il primo newsbrand in Italia per il target genZ su TikTok.