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Digital Services Act e targeted advertising. Roberto Liscia: “Nell’era della personalizzazione sarebbe assurdo che l’unica cosa non personalizzabile fosse la pubblicità”

Sarà stato un caso, sarà stata una coincidenza, ma pochi giorni dopo l’ufficializzazione da parte del Parlamento Europeo della richiesta alla Commissione di prendere decisioni in merito alla pubblicità mirata, ecco che anche lo IAA Italia entra in gioco, con un evento online che mira ad analizzare il ruolo del targeted advertising per le PMI e i consumatori, e il suo impatto sul settore marcom, per riflettere su un paradosso a oggi presente nei progetti di crescita dei paesi europei: se da un lato si riconosce l’importanza di dare dei contributi economici per il settore dei media, per garantire il pluralismo, dall’altro lato si vuole proporre un divieto per il targeted advertising, generando un vortice di conseguenze negative non solo sulla pubblicità ma anche su tutte le iniziative digitali.

A dar vita alla sessione Alberto Dal Sasso, Presidente IAA Italy Chapter, che ha moderato una tavola rotonda con Daniel Knapp, Chief Economist IAB Europe; Greg Mroczkowski, Director Public Policy IAB Europe; Roberto Liscia, Presidente Netcomm; e Marianna Ghirlanda, CEO DLV BBDO e Presidente del Centro Studi UNA.

L’evento si è aperto con la presentazione del report ‘The wider socio-economic and cultural value of targeted advertising in Europe’ in cui Knapp ha mostrato in particolare quanto conti l’addressable advertising per l’intera industry, con particolare rilevanza per le PMI, numericamente maggioritarie, e largamente, nel nostro paese.

“Siamo di fronte a un ulteriore paradosso”, ha spiegato Daniel Knapp, “al Parlamento Europeo tutti i partiti, Verdi in testa, parlano di green economy, di economia circolare, e al contempo sono contro il targeted advertising, che è il modo migliore disponibile per evitare sprechi, indirizzando la pubblicità solo là dove ha le maggiori probabilità di essere accolta. Questo non significa solo risparmio per le imprese investitrici o per i publisher, ma soprattutto un risparmio in termini di CO2 emessa dai grandi cloud center che sono la spina dorsale di qualsiasi attività digitale”.

“Il DSA (Digital Services Act, ndr) ha iniziato il suo percorso come una revisione delle potenzialità delle Direttive eCommerce“, ha poi sottolineato Greg Mroczkowski. “Nel prosieguo del percorso il discorso si è esteso alla direttiva all’uso dei dati personali da parte della aziende. Ma questo aspetto è già normato dal GDPR e dalle direttiva sulla ePrivacy di prossima approvazione. È necessario porre attenzione a gestire i dati all’insegna della fiducia e senza intaccare l’intera catena del valore che si estende dai produttori, ai retailer online fino agli stessi consumatori. Un conto è smantellare i silos che impediscono un funzionamento fluido del commercio, altra cosa è introdurre nuove norme burocratiche che, al contrario, richiederebbero di impedire il corretto funzionamento di una macchina complessa”.

“Il contextual advertising non può rimpiazzare la pubblicità mirata”, ha affermato Marianna Ghirlanda, “perché hanno obiettivi diversi ed efficacia ben differente: sono mutui, non alternativi. Il contextual adv fa riferimento al ‘dove’ – alla pagina, al video, al contenuto – in cui l’utente è interessato, mentre la pubblicità mirata è in grado di seguire, dinamicamente, l’utente nella sua navigazione, verrebbe da dire ‘nella sua vita’ online, mantenendo chiaro il focus dei suoi interessi e dandogli gli annunci più rilevanti”.

Di taglio un po’ diverso, infine, l’intervento di Roberto Liscia, che si è soffermato sulla gratuità dei servizi, ad supported, messi a disposizione di tutti, e su come una ‘proibizione’ della pubblicità mirata andrebbe a vantaggio esclusivamente dei tech giant, i soli che possiedono la tecnologia e le risorse per farne eventualmente a meno.

“Senza pubblicità mirata sarebbe difficile sopravvivere per i publisher, e per gli eCommerce e le PMI in generale”, ha concluso Liscia. “Internet ha portato i prezzi in una corsa al ribasso che ha eroso i margini all’osso. Allo stesso tempo il consumatore si è abituato a un elevato grado di personalizzazione, nel prodotto, nella consegna, nel pagamento. Sarebbe quasi un assurdo se l’unica cosa non personalizzabile fosse la pubblicità“.