In Italia il mercato della colocation dei Data Center, ossia la compravendita o l’affitto di infrastrutture abilitanti per il posizionamento di server e patrimonio informativo delle organizzazioni, ha raggiunto nel 2023 il valore di 654 milioni di euro (+10% rispetto al 2022). Se le condizioni saranno favorevoli, si stima possa crescere fino a più che raddoppiare nel 2025. A questo valore specifico si aggiunge poi un indotto ancor più rilevante legato ai mercati digitali che sono abilitati da queste infrastrutture.
Le nuove aperture nel 2023 hanno portato la potenza energetica nominale attiva sul territorio nazionale a un totale di 430 MW (+23% rispetto al 2022). Milano rappresenta il primo polo infrastrutturale del Paese (184 MW) e, anche se ancora lontana da un polo di riferimento come Francoforte (791 MW), si sta proponendo come uno dei centri di maggior interesse rispetto ad altri Paesi considerati emergenti nell’ecosistema Data Center europeo, come Madrid (136 MW) e Varsavia (86 MW).
Queste alcune delle evidenze emerse dalla prima edizione dell’Osservatorio Data Center, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano e presentate all’evento ‘Data Center Economy: l’Italia a un punto di svolta’.
Il contesto di riferimento: l’Italia di fronte a una grande occasione
Nel 2023 lo scenario Data Center italiano ha vissuto un momento di accelerazione senza precedenti: 23 organizzazioni (di cui 8 società nuove entranti sul mercato italiano) hanno annunciato l’apertura di 83 nuove infrastrutture nel periodo 2023-2025, la cui messa in produzione potrà portare sul territorio, potenzialmente, fino a 15 miliardi di euro di investimento complessivo.
“La Data Center Economy italiana è di fronte a un’opportunità senza precedenti: fino a 15 miliardi di euro di potenziali investimenti in nuove infrastrutture attesi entro fine 2025. Questi fondi ingenti avranno un impatto rilevante sul territorio: dalle filiere locali che si occuperanno dei cantieri, fino ai comuni che ne beneficeranno per potenziare i servizi ai cittadini”, spiega Alessandro Piva, Direttore dell’Osservatorio Data Center. “Allo stesso modo, queste infrastrutture critiche rappresentano le fondamenta per lo sviluppo dei mercati digitali nazionali e posizionano il Paese come un polo di riferimento all’interno della rete di calcolo europea, in un momento di massima attenzione alla gestione del dato e alla Cloud sovereignty”.
Le nuove aperture hanno portato a una crescita della potenza energetica nominale attiva sul territorio di 80 MW, portando la potenza totale dei Data Center italiani a 430 MW (+23% rispetto al 2022).
Questo sviluppo territoriale e nazionale si colloca in uno scenario europeo in forte cambiamento in cui, storicamente, i Data Center si sono sviluppati principalmente in 5 città: Francoforte, Londra, Amsterdam, Parigi e Dublino. Tuttavia, dopo anni di sviluppo incessante, queste aree stanno rallentando la loro crescita, aprendo opportunità interessanti per gli altri Paesi. A questo si affianca uno sviluppo dell’ecosistema Cloud europeo che si sta muovendo verso una logica decentralizzata. Questo perché, dal punto di vista funzionale, la creazione di nuove infrastrutture di prossimità (edge computing) è finalizzata alla riduzione della latenza nella trasmissione dei dati. Un altro driver importante è quello politico, per cui lo sviluppo di Data Center locali è orientato al mantenimento di dati (in particolare quelli più sensibili) all’interno dei confini nazionali per obiettivi strategici e di sicurezza. Lo stesso governo italiano, con il PNRR e il percorso di digitalizzazione della Pubblica Amministrazione, sta razionalizzando le proprie infrastrutture e creando un Polo Strategico Nazionale per la gestione dei dati e delle applicazioni critiche.
L’interesse degli investitori si è quindi spostato su mercati Data Center emergenti, tra cui l’Italia, la Polonia, la Spagna e la Svizzera, considerate aree con interessanti opportunità di sviluppo per i prossimi anni.
Dal punto di vista dimensionale, la maggior parte dei Data Center italiani è oggi di media (2-10MW) e piccola potenza (<2MW), mentre meno diffusi sono gli edifici con alta potenza (>10MW), più complessi dal punto di vista costruttivo e vincolati alla presenza di punti di collegamento all’alta tensione. La ricerca prevede però una maggiore concentrazione di aperture nel cluster dell’alta potenza nei prossimi anni.
Dal punto di vista geografico, la Lombardia, in particolare Milano, si conferma il primo polo infrastrutturale per il Paese.
Un posto di rilievo inizia ad assumerlo anche l’area di Roma che potrà candidarsi, seppur con numeriche molto inferiori, al ruolo di secondo polo del Paese. Risultano invece attualmente meno diffuse le infrastrutture in altre aree della penisola.
La crescita delle infrastrutture territoriali sta inoltre generando nel mercato della colocation la messa a disposizione di spazi più o meno estesi dei Data Center, che possono variare da pochi metri quadri a sale dati o addirittura interi edifici per il posizionamento dei server e del patrimonio informativo delle organizzazioni clienti.
“Siamo oggi di fronte a un punto di svolta del mercato colocation italiano, se il sistema Paese sarà in grado di confermarsi un’area attrattiva potrà più che raddoppiare le sue dimensioni entro il 2025 e toccare 1,4 miliardi di euro”, dichiara Luca Dozio, Direttore dell’Osservatorio Data Center. “Fermarsi a questi numeri potrebbe però essere riduttivo, infatti l’indotto generato da queste infrastrutture è ancor più rilevante se guardiamo ai mercati digitali italiani che potranno svilupparsi ulteriormente grazie agli investimenti in arrivo, riportando nel nostro Paese parte del valore che ad oggi è veicolato su ecosistemi esteri più sviluppati”.
Le sfide da affrontare per l’Italia
In questo momento l’attrattività del mercato italiano si scontra con la mancanza di alcune condizioni di sistema, su cui sarà necessario lavorare nei prossimi anni. Innanzitutto, il settore Data Center risulta a oggi non riconosciuto a livello regolatorio. Il Data Center viene identificato come un generico edificio industriale e questo porta a una scarsa chiarezza normativa, che conduce all’assenza di un procedimento specifico per l’apertura di nuovi Data Center sul territorio da parte degli enti preposti. Conseguentemente, i tempi sono lunghi e l’interazione con le istituzioni complessa, passando dagli enti comunali a quelli centrali e ministeriali, con procedure che cambiano a seconda del luogo di apertura dell’infrastruttura.
I rallentamenti generati da questi impedimenti burocratici rendono incerti i tempi con cui gli investitori saranno in grado di mettere in produzione i Data Center e rientrare dei fondi stanziati. È quindi cruciale definire a livello normativo l’oggetto Data Center come infrastruttura peculiare, identificandone le caratteristiche differenziali rispetto ad altri edifici già normati e, allo stesso tempo, individuare una chiara procedura che espliciti i passi da seguire e gli enti da coinvolgere e che garantisca velocità di attuazione. Infine, i Data Center di potenza superiore ai 10MW, previsti in grande crescita per i prossimi anni, richiedono l’allacciamento all’alta tensione, non sempre disponibile sul territorio. Saranno necessari investimenti di potenziamento della rete elettrica nazionale per garantire la fattibilità degli scenari di sviluppo infrastrutturali previsti. Questo richiederà una collaborazione stretta tra gli attori del mercato e gli enti preposti con il fine di allineare aspettative e obiettivi di crescita.
“Nel corso degli ultimi anni, l’Italia ha iniziato a colmare il proprio gap infrastrutturale nell’ambito dei Data Center. Da una parte, Milano e Roma si stanno consolidando come polo primario e secondario del Paese. Dall’altra, zone del territorio, storicamente poco o per nulla servite, si stanno popolando di infrastrutture, anche di più piccola dimensione, in grado di rispondere a specifiche esigenze funzionali”, conclude Marina Natalucci, Direttrice dell’Osservatorio Data Center. “Nei prossimi due anni, questa crescita sarà ancor più significativa ma potrà realizzarsi solo se il sistema Paese riuscirà a creare le condizioni per cui investire in Italia sia realmente attrattivo per gli attori del mercato. Questo richiederà un lavoro di ecosistema tra istituzioni e imprese che potrà rendere l’Italia un punto cardine dell’infrastruttura digitale a livello europeo e soprattutto nell’area mediterranea”.