Si fa più accesa la battaglia tra gli USA e Huawei, attuale azienda leader per le reti 5G dai prezzi estremamente concorrenziali, come è peraltro abituale con i prodotti cinesi.
Non è il caso qui di ripercorrere tutte la fasi che hanno portato Huawei a essere inserite nella ‘entity list‘ Statunitense, e al relativo divieto di nuove collaborazione tra tutte le aziende americane e il colosso cinese, che ha già portato quest’ultimo ad attivare, sui suoi nuovi telefoni, una App Gallery proprietaria, poiché non può più usare il vecchio Playstore di Google.
Ma questi sono aneddoti, e la vera guerra è sul 5G, ‘cavallo di Troia’ dei cinesi per carpire le informazioni occidentali che viaggeranno su questa rete, secondo gli americani, o semplice invidia per non avere prodotti all’altezza secondo i cinesi.
Come sia davvero, e prescindendo dalle vicende legali che hanno portato in carcere in Canada la figlia di Ren Zhengfei, il fondatore dell’azienda, che si trascinano dalla fine del 2018, è però difficile da negare che la moral suasion USA abbia ottenuto qualche successo.
Dopo l’Australia, che aveva già decretato il non utilizzo dei componenti Huawei per la propria rete, anche il Regno Unito ha deciso di espellere il gigante cinese dai propri fornitori di attrezzature. Più sfumata la posizione della Francia, che si limita a sconsigliare l’uso di questi prodotti ma non li ha messi ufficialmente al bando. Analoga la posizione dell’Italia, che non ha preso una posizione ufficiale, ma ha di fatto escluso dalla gara bandita da TIM in Brasile i componenti a marchio cinese.
La battaglia si fa più accesa quasi ogni giorno, con la fine dell’accordo ‘un paese, due sistemi’ che la nuova legge sulla sicurezza di HongKong ha di fatto imposto all’ex-colonia britannica.
Ed ecco allora che una lista di altre venti società cinesi, di Stato o private, quotate nella Repubblica popolare o negli Stati Uniti, attive in settori che vanno dalle telecomunicazioni all’energia nucleare, si è aggiunta a quelle che potrebbero incorrere in controlli, sanzioni o limitazioni da parte degli Stati Uniti in quanto controllata dal Governo Cinese.
Ci sono aziende già nella ‘lista nera’ del Dipartimento del Commercio come Huawei, il cui fondatore è un ex ufficiale dell’esercito, o come Hikvision, gioiello delle telecamere di sorveglianza coinvolto nella repressione della minoranza musulmana dello Xinjang. Ci sono poi una serie di colossi di Stato delle infrastrutture come China Shipbuilding Industry Corporation e China Railway Construction Corporation, alcuni dei quali nati come rami dell’esercito ma poi usciti dal suo perimetro e in parte privatizzati. Ci sono anche due delle big telefoniche cinesi come China Telecom e China Mobile, quotate da anni a New York.
L’obiettivo della lista, sollecitata da un Congresso sempre più in prima linea nel contenimento della Cina, sembra quello di rendere più difficile per queste aziende accedere a tecnologie sensibili americane, ma anche ai flussi di capitale statunitensi.
Secondo il segretario di Stato Mike Pompeo, ora “ogni nazione si sta domandando semplicemente come raggiungere delle soluzioni convenienti che non espongano le nostre popolazioni ai rischi che possono venire dall’avere infrastrutture cinesi installate nel cuore dei nostri Paesi”.
E OpenRAN potrebbe essere la soluzione di cui gli Stati Uniti sono in cerca da almeno un anno per far fuori definitivamente Huawei dalle proprie infrastrutture di rete: l’Open Radio Access Network è una nuova tecnologia portata avanti dalla O-RAN Alliance, un’organizzazione fondata agli inizi del 2018 dagli operatori AT&T, China Mobile, Deutsche Telekom, NTT DOCOMO e Orange e che vede il coinvolgimento di colossi quali Cisco, Intel, Dell, Broadcom, Ericsson, Fujitsu, IBM, Infineon, Kyocera, Lenovo, NEC, Nokia, Nvidia, Qualcomm, Samsung e molti altri, oltre a operatori telefonici come Vodafone, TIM, Verizon, Telefonica e Sprint.
Questa nuova tecnologia ha diversi vantaggi: è infatti open source e flessibile, perché si basa su una soluzione software per la gestione delle connessioni, consentendo così agli operatori di realizzare reti anche utilizzando componenti hardware di fornitori differenti. Questo consentirebbe inoltre anche alle realtà più piccole di implementare più facilmente i propri servizi, visto che, non dovendo più adottare soluzioni hardware ‘chiuse’ permetterebbe loro di comporre le proprie infrastrutture scegliendo la soluzione più economica per ciascun componente, con risparmi sostanziosi.
Il vantaggio di OpenRAN, insomma, è la maggiore interoperabilità garantita tra le diverse infrastrutture di rete. Ma resta da capire quanto tempo ci vorrà prima che OpenRAN possa essere abbastanza matura per poter sfidare Huawei, tuttavia questa soluzione ha un potenziale enorme e potrebbe rivelarsi un game changer anche a livello industriale, togliendo potere ai produttori degli impianti hardware per darlo ai provider e agli sviluppatori software. Tra i primi ovviamente non ci sono soltanto Huawei e ZTE, che dominano il mercato, ma anche le aziende europee Nokia ed Ericsson che però, non a caso, fanno parte del consorzio.