In maniera improvvisa, quasi di sorpresa, i Token Non Fungibili (NFT) sono esplosi sul mercato e nella consapevolezza del pubblico. I prezzi, strabilianti, che alcuni dei creator hanno spuntato alle aste e la promessa potenziale degli NFT, quella di rivoluzionare il concetto stesso di proprietà, hanno portato schiere di investitori, piattaforme, e brand a investire fior di denari per non rimanere esclusi da questo nuovo e promettente mercato.
Tra le tante multinazionali che sono entrate in gioco – sulle orme di Budweiser, Nike e adidas – c’è Pepsi Cola, che ha lanciato i propri NFT gratuiti da coniare (c’è solo da pagare una piccola somma, in gergo ‘gas’, per i costi di transazione): basta collegare il proprio wallet alla piattaforma MetaMask per coniare il proprio Non Fungible Token. Con la garanzia, ribadisce orgogliosa l’azienda che ‘Ownership of an NFT is easily and uniquely verifiable due to its public listing on the blockchain’.
Tutto a posto, quindi. Oppure c’è qualche cosa in più, da non sottovalutare? Digitate su Google ‘NFT Scams’ e verrete travolti da tutto ciò che la mente umana può concepire per disorientare, ingannare o imbrogliare il prossimo. E non solo sprovveduti: anche piattaforme molto serie sono state involontariamente coinvolte, e in alcuni casi hanno decido di rimborsare i clienti truffati, come è accaduto con OpenSea, che ha scelto di pagare per un caso di rivendita abusiva di NFT, con indennizzi superiori a 1,8 milioni di dollari restituiti agli utenti.
Oppure quello che è accaduto al fondatore di Twitch, Justin Kan. Un caso più modesto dove gli utenti hanno perso 150mila dollari in NFT: il progetto Fractal, dove era stato anticipato un ‘airdrop’ (distribuzione gratuita) di NFT, che però è stato ‘dirottato’ dagli scammer su un sito dal nome simile ‘Fractai’ per gestire il minting di NFT fake, a fronte comunque del pagamente del ‘gas’ come in tutte queste transazioni.
Ma questi sono solo due esempi, che comunque potrebbero essere utili a tutti per non sottovalutare i rischi connessi all’acquisto di un NFT o alla sua successiva rivendita. Non si parla qui delle possibilità di fishing per impossessarsi delle password o dei portafogli digitali, sempre ben presenti e largamente sfruttate dai malintenzionati, ma che fanno ormai parte della storia di internet.
Qui si sta parlando di possibilità ‘connaturate’ agli NFT e al processo di coniazione, conservazione e ricommercializzazione: la scala è enorme.
“Inizialmente abbiamo creato il nostro smart contract per consentire ai creatori di entrare facilmente nel mercato degli NFT”, hanno twittato i dirigenti di OpenSea, che consente il minting gratuito. La situazione è però degenerata in fretta conducendo a un abuso massiccio, producendo ‘oltre l’80% di NFT, creati sulla piattaforma, che ormai sono plagi, falsi o spam’. Per colmare questa lacuna nel sistema, OpenSea ha ridotto drasticamente la funzionalità. D’ora in poi, in ciascuna offerta sono consentite solo cinque raccolte NFT per portafoglio o utente NFT, e un massimo di 50 lotti o oggetti da collezione NFT.
Sicuramente entrare a far parte di questo tipo di mercato porta dei rischi piuttosto alti in fatto di possibili inganni, fattori da sempre onnipresenti sul web da molto prima dell’emersione delle criptovalute. Gli NFT sono infatti ‘unici’ in più di un modo, anche ammettendo che facciano parte di quel 20% esente da imbrogli. Quando si acquista o si vende un NFT, i diritti che sono scambiati possono essere diversi da piattaforma a piattaforma o anche da NFT a NFT. L’acquisto di un NFT non significa necessariamente possedere il diritto di visualizzarlo, ad esempio, o il diritto di utilizzarlo per scopi commerciali. I venditori possono mantenere (e in effetti spesso manterrebbero) determinati diritti anche dopo aver ceduto l’atto all’asset digitale. Infatti, gli smart contract che possono essere incorporati in una NFT potrebbero eseguire automaticamente determinate azioni, come il pagamento di royalties, a ogni vendita successiva.
Ma queste sono cose che si possono verificare procedendo con particolare attenzione. Il vero rischio risiede nella motivazione FOMO (Fear Of Missing Out): l’acquisto spinto dal timore di rimanere esclusi, di perdere l’opportunità di salire sul treno che porterà al successo (o alla fama, o alla ricchezza…). Qui, anche se la storia non è per nulla moderna e digitale, si ritorna allo Schema Ponzi, la truffa eponima dell’inizio del Novecento: affinché gli investitori esistenti traggano profitto, i nuovi acquirenti devono essere attratti dal mercato. Così anche gli NFT, che vantano in più qualcosa di fortemente illusorio collegato alla loro forma digitale.
“Non c’è praticamente nulla che gli esseri umani non possano trasformare in un mercato”, ha confermato John Hawkins, Senior Lecturer alla Canberra School of Politics, Economics and Society. “Ma sempre più spesso ci sono bolle speculative in cose senza alcun valore fondamentale. Gli NFT, come i Bitcoin e le cryptovalute basate su meme quali Dogecoin e Shiba Inu, sono esempi di token privi di valore intrinseco, che gli speculatori acquistano semplicemente nella speranza che il prezzo continui a salire”.
Une decisa stroncatura, ma pur sempre un’opinione, qualificata sicuramente, non una certezza assoluta. Nel dubbio, ‘adelante Pedro, con juicio’, procedere con cautela e avere sempre presente che – chissa? – gli NFT di Pepsi Cola potrebbero non valere decine di migliaia di dollari in futuro. Oppure forse sì, chi può dirlo…