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Massimo Chiriatti, Lenovo: “Nei paesi demograficamente vivi, le nuove generazioni sono affamate di AI e non hanno infrastrutture legacy da difendere”

Massimo Chiriatti, Lenovo

di Massimo Bolchi

Massimo Chiriatti, Chief Technology & Innovation Officer di Lenovo Italy ha confermato la sue straordinarie capacità di divulgatore, intervistato da Barbara Carfagna, anchorwoman del Tg1, parlando di come affrontare con consapevolezza la rivoluzione non solo tecnologica portata dall’AI, con un approccio che unisce competenze tecnologiche, mindset e comportamenti.

Scontato l’inizio della chiacchierata, incentrata sulla differenza esistente – ma molto spesso passata sotto traccia – tra l’Artificial Intelligence usata già da molto tempo e la GenAI, l’AI generativa nata da un paio d’anni che ha rapidamente conquistato spazi e preoccupazioni in tutto il mondo. “Tu fai una domanda e lei ti risponde”, ha sintetizzato Chiriatti, prima di addentrarsi nella problematiche che questa attività così apparentemente semplice comporta, dalle allucinazioni alle fake news (volute o meno), dai problemi di privacy alla minaccia portata ai lavori più creativi.

Ma, sorprendentemente, non sono stati questi aspetti ad attrarre le attenzioni e le analisi del CTIO di Lenovo, ma altre riflessioni di carattere più sociologico e demografico.

“Noi, intendo tutti gli occidentali, siamo in crisi, con una demografia calante e sempre meno nuovi nati ogni anno”, ha sottolineato. “È quindi ovvio che la nostra principale preoccupazione di fronte a questa ‘rivoluzione tecnologica’ sia quelle di porre regole e norme da rispettare. Anche le sparute nuove generazioni, istruire dall’esempio della maggioranza, si adeguano a questo modo di pensare: primum non nocere. Ed ecco l’AI Act con le sue attenzioni sulla gestione dell’AI”.

Al massimo, l’AI ha compiti più ‘servili’: sollevare l’uomo dei lavori più ripetitivi e collaborare con l’uomo che rimane comunque in possesso della leva decisionale.

L’AI in Asia e in Africa

“Ma altrove – e non mi riferisco agli USA che sono anche loro in una situazione simile, anche se meno accentuata – ci sono popolazioni giovani, in espansione sotto il profilo demografico: in Asia, dove a fronte della frenata della Cina emergono l’India, l’Indonesia, il Vietnam. E soprattutto in Africa, che è il continente a più rapida crescita, con le nuove generazioni che sono affamate di tecnologia e non hanno infrastrutture legacy da difendere. Per loro l’AI è una straordinaria opportunità, senza il peso che ha in Occidente, dove il tempo della formazione necessaria è ben superiore del periodo di obsolescenza della professioni”.

“Anche in Asia, dove il modello giapponese si è imposto anche nei paesi più giovani”, prosegue, “non è più la scuola da cui si proviene a determinare la prospettive di carriera, ma l’abilità di colloquiare con il proprio digital twin, che l’AI ha già installato come companion e tutor dello studente, per accompagnarlo e sostenerlo nei vari esami della carriera accademica. Una sorta di ‘paghi uno e prendi due’ perché è chiaro che il digital twin continuerà ad accompagnare il candidato anche nella nuova azienda”.

“Questo non significa che tutte le problematiche legate all’AI siamo state risolte”, conclude Chiriatti. “Nessuna tecnologi è ‘neutra’, tanto meno l’AI che soffre dei bias e dei valori dei produttori. Affidarsi all’AI è come bere da un’idrante, e oltretutto la macchina non è responsabile per i suoi errori, che possono teoricamente avere anche conseguenze molto gravi. Inoltre l’intelligenza algoritmica è basata statisticamente su un’infinita quantità di dati: legge il passato, non può prevedere il futuro. Simula il comportamento di un’intelligenza ma non è intelligente nel senso proprio del termine, perché la manca quel quid, quel pensiero laterale che è proprio dell’essere umano”.