“La comunicazione digitale non è l’ultimo anello della supply chain: è il primo processo della demand chain”: con queste parole il professor Carlo Alberto Carnevale Maffè, della SDA Bocconi, ha aperto il suo intervento alla plenaria pomeridiana del Netcomm Forum. Il messaggio chiave delle nuove strategie di digital commerce è la cooptazione del cliente: ‘Hire your Z-customer’, fai lavorare per te il cliente della Gen Z.
“Molte delle imprese di maggior successo, da Facebook a Uber a AirBnB, usano capitale e lavoro degli utenti”, ha poi proseguito Carnevale Maffè. “Non è più vero, come si diceva in passato che ‘se il prezzo è zero tu sei il prodotto’: oggi, se il prezzo è zero, tu sei il lavoratore!“.
Il digitale consente infatti di estendere il perimetro organizzativo delle imprese fino includere i meccanismi di coordinamento e incentivazione della domanda, e quindi il comportamento individuale e sociale dei consumatori finali, in particolare quelli della Generazione Z, per intuibili ragioni anagrafiche.
“L’eCommerce”, ha aggiunto, “è già vecchio, è sopravissuta solo la e- fatta di dati, di AI e di relazioni naturali. Estremizzando il concetto, il digitale non serve più per vendere. Serve per capire, dialogare, ingaggiare, ‘servitizzare’ il prodotto trasformandolo in servizio, che per essere tale necessita obbligatoriamente dell’apporto attivo dell’interlocutore, che fino e ieri era solo un consumatore passivo”.
Per sfruttare le potenzialità in termini di nuovi modelli di business, non basta considerare il digitale come un ‘nuovo canale’ o come un ‘nuovo formato’ della comunicazione. I social media cambiano profondamente le regole e le prassi della comunicazione e spesso anche dei processi economici sottostanti. L’equivoco fondamentale di gran parte delle scelte aziendali è stato quello di pensare alla semplice ‘migrazione verso il digitale’ dei vecchi processi. Ma internet non è un settore economico separato, non è un singolo nuovo medium, e soprattutto non è necessariamente un mercato diverso.
La prassi manageriale della comunicazione passa quindi dalla mera gestione dell’attenzione, a quella dell’intenzione, e poi della transazione e della relazione. In questo modo il mercato della comunicazione diventa una piattaforma multilaterale di scambi di esternalità economiche, sia positive sia negative. La grande sfida sarà imparare a gestirle in modo economicamente e socialmente sostenibile, con modelli di business non più lineari e sequenziali, bensì organizzati a ‘piattaforma’, entro strutture di mercato di tipo multilaterale.
“Nel Web 3.0”, ha concluso Carnevale Maffè, “il digitale è un modello organizzativo. Prima di tutto della domanda, aiuta a cooptare i clienti e coordinare le risorse. Mentre il software è il nuovo modello organizzativo del brand, con i dati e l’intelligenza artificiale che rappresentano i nuovi asset patrimonili intangibili“.
La domanda viene coinvolta nei processi di produzione di beni non rivali, e non di rado il sistema di rating sociale del compratore e del venditore, prodotto dalla domanda (da Ebay a Amazon) è ormai accettato come un ‘public good’ che è in grado di anticipare certificazioni ‘pubbliche’ di là da venire. Con essi, i messaggi diventano moneta e le comunicazioni diventano contratti, anzi ‘smart contract‘. Le conversazioni diventano allora ‘commercio’: le tecnologie digitali cambiano di conseguenza profondamente il mondo del digital commerce, trasformandolo in un nuovo modello organizzativo della domanda.
In conclusione, i consumatori sono già oggi una community interconnessa, informata e strutturata: la sfida per i brand è riuscire a sfruttare le tecnologie digitali per ‘organizzare la domanda’, non solo e non tanto nel percorso dall’attenzione all’acquisto, ma nei proocessi di condivisione dei valori e delle responsabilità sull’intero ciclo dell’esperienza.