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Accordo tra 25 Paesi della UE: via libera a Gaia X, la federazione europea per il cloud. Obiettivo: trattenere in Europa gli 829 miliardi della data economy nel 2025

L’iniziativa è partita più di un anno fa, quando Germania e Francia, nelle persone del rispettivi Ministri per l’Economia, decisero di collaborare e posero le basi per questa attività sovranazionale in ambito cloud, che ora sembra aver raggiunto il necessario numero di paesi partecipanti per il definitivo decollo.

Il progetto è Gaia X, il ‘cloud’ dell’Europa: ne fanno parte, attualmente, tutti i i 25 paesi dell’Unione, e i due non presenti, Cipro e Danimarca, dovrebbero associarvisi al più presto. GaiaX è il frutto di una società di diritto belga, l’ambizione, quella di diventare la ‘federazione europea del cloud’, aperta a oltre 300 organizzazioni con le quali sono in corso colloqui.

Il punto critico è quello relativo alle società extraeuropee: quali sono i rapporti attuali e, soprattutto, quelli futuri con gli operatori del cloud i cui HQ non risiedono in Europa? Perchè è inutile nasconderselo: il progetto mira a sostituire gli attuali ‘padroni’ del cloud internazionale con il nuovo operatore targato EU.

Al momento le quattro principali aziende del cloud, a livello internazionale, sono Amazon WS, Microsoft Azure, Google e Alibaba, che rappresentano il 72% del mercato globale, con percentuali decrescenti che vanno dal circa 30% di Amazon al 4% di Alibaba, che raduna però il 59% delle aziende cinesi, attualmente le fabbrica del mondo (o quasi).

L’associazione, è stato scritto anche sui giornali italiani, è un’iniziativa non a scopo di lucro a cui è consentito aderire solo se si è un Paese europeo o un’azienda privata europea.

Secondo la testata USA Politico, la spinta a rimodellare il mercato cloud europeo nasce dalle preoccupazioni sulla dipendenza dai fornitori statunitensi per l’archiviazione dei dati sensibili. “Da quando Washington ha approvato il Coud Act – che obbliga le società tecnologiche statunitensi a consegnare i dati alle autorità se legalmente ordinato di farlo, anche se sono archiviati in Europa – queste preoccupazioni sono aumentate, in particolare tra i giganti industriali che temono che i loro segreti vengano rubati”, scrive la rivista statunitense.

Però tutti maggiori operatori statunitensi del cloud, i tre citati in precedenza, più IBM e altri, hanno collaborato nell’intera fase di sviluppo di Gaia X, e non sembra facilissimo estrometterli del tutto. Tant’è che, secondo quanto scritto nell’accordo di allargamento a 25 Paesi del progetto, “alle big tech Usa sono esclusi i diritti di voto” per entrare nella governance e incidervi, ma non ne sono esplicitamente esclusi.

Una formulazione ambigua, che non sbatte la porta in faccia ai partner di Oltreoceano, ma al contempo delimita chiaramente che questo è un progetto europeo nella concezione, aperto al mondo intero purché nel data storage si applichino i concetti europei, e le ‘chiavi’ della cassaforte rimangano in nostre mani.

“Riteniamo che ci siano alcune sfumature di sovranità”, ha dichiarato alla stampa Cédric Prévost, Responsabile del cloud presso Orange Business Services, ramo della società di telecomunicazioni francese tra i membri fondatori di Gaia-X. “È molto importante che solo gli attori europei stiano guidando le regole, ma che possiamo assicurarci di sfruttare l’esperienza degli attori non europei”.

Stesso discorso sul versante tedesco: “Combiniamo servizi di infrastruttura come l’archiviazione e l’elaborazione dei dati in Europa, ma siamo aperti alla partecipazione anche per le aziende che non sono di origine europea”, ha affermato in un’intervista alla CNBC qualche settimana fa Marco-Alexander Breit, che dirige il progetto Gaia X in Germania. “Purché rispettino le nostre regole e aderiscano ai nostri standard”.

E a questo proposito c’è un precedente favorevole, quello del GDPR, che è stato capace di attraversare l’oceano e di essere adottato anche dalle multinazionali americane in Europa, e soprattutto di aver dato il via a discussioni anche in America circa la proprietà dei dati di tutti, che stanno portando a nuove norme, come il CCPA in California, sulla privacy.

Gaia X parte con un investimento di almeno 10 miliardi, ma i volumi potrebbero aumentare fino a 300, usando i fondi del programma Nextgeneration Eu. Perché per l’affermazione sul mercato serve serve tanta potenza di calcolo e, sopratutto nelle fasi iniziali, tanto storage, cioè magazzino disponibile a ricevere i dati degli utenti.

Il primo passo, infatti, è quello di ‘alimentare’, cioè riempire il nuovo vaso europeo, a scapito di quelli USA e cinese. Un compito non facile, soprattutto se pensiamo che il primo operatore eurpeo, SAP, è all’undicesimo posto nel mondo per ricavi cloud.

Ma i dati sono il petrolio del futuro, e nel 2025 la data economy del Vecchio continente varrà, secondo stime della Commissione europea, 829 miliardi di euro: Gaia X, se sarà un successo, eviterà che gran parte di quel valore fluisca verso Stati Uniti e Cina, insieme, per buon aggiunta, a informazioni preziose per la sicurezza nazionale e la competitività delle aziende.