Venerdì mattina, al Politecnico di Milano, si è tenuto un interessante workshop, dal titolo ‘XR & AI: Futuro o Presente? Le innovazioni che stanno cambiando il business’ dove, al di là delle categorizzazioni sui device – orizzontalmente separati in entry level, business, premium e pro – o delle significativi tabelle sugli impieghi industriali o sperimentali della XR, eventualmente potenziata o accompagnata dell’AI, è risultato particolarmente interessante l’intervento del prof. Lucio Lamberti, che, dopo essersi scherzosamente presentato come “un ingegnere, anzi un ingegnere gestionale, che per di più si occupa di marketing: incominciamo a scavare per scendere sempre più in basso”, ha presentato un’originale interpretazione della ‘Psicofisiologia dell’Esperienza XR’.
Lamberti ha ribaltato la percezione comune secondo cui l’introduzione della XR (Extended Reality) nelle aziende sia solo un’opportunità in più. L’approccio corretto, invece, è chiedersi se la aziende possano permettersi di non adottarla. La sua risposta è decisa: “no”. L’XR è infatti particolarmente attuale e, insieme all’AI, è funzionale allo sviluppo dell’esperienza, sia per l’utente (interno o esterno all’azienda) sia per lo sviluppo interno, poiché semplifica e potenzia l’attività degli sviluppatori.
Un’esperienza è efficace solo se è ingaggiabile, memorabile e a basso sforzo cognitivo
Per rappresentare questo quadro, Lamberti ha commentato ‘il Modello di flusso’ di Mihály Csíkszentmihályi, psicologo austrico naturalizzato statunitense, secondo il quale il ‘flusso’ si verifica quando sfida e competenza sono in equilibrio. Questo stato garantisce il massimo coinvolgimento, la massima capacità di ritenzione delle informazioni e la minima percezione di sforzo cognitivo.
Ma non basta, perché il cervello umano è “una struttura ampiamente imperfetta, però straordinariamente affascinante, soprattutto per la sua plasticità”: un esperimento ‘classico’ dimostra che se una persona indossa occhiali che ribaltano la realtà (mostrando il mondo sottosopra) , il suo cervello si adatta alla condizione immersiva e, a lungo andare, potenzia le sue capacità, imparando a compiere azioni complesse (es. andare in bicicletta, scrivere correttamente)”.
“Poiché il cervello è così plastico, un’esperienza realmente immersiva induce la Presenza , cioè l’illusione di trovarsi all’interno di un ambiente virtuale simulato”, ha sottolineato Lamberti. “Se abbiamo l’illusione di trovarci in un mondo virtuale, il nostro cervello ‘imparerà a muoversi lì dentro’. Questo è un risultato impossibile da ottenere con uno schermo bidimensionale”. “L’immersività genera il senso di presenza”, ha proseguito. “La presenza (immersione nel contenuto, anziché solo assorbimento ) è in grado di suscitare emozioni e una risposta cognitiva, come l’apprendimento”.
X-Reality e i livelli di immersività
Lamberti ha evidenziato come sia fuorviante “mettere nello stesso calderone” la VR (Virtual Realiry) e l’AR (Augmented Reality). L’AR, infatti, non è un’esperienza realmente immersiva, ma solo un arricchimento della realtà fisica, mentre la VR induce un’immersività e un’immersione potenzialmente totale. Non si tratta di stabilire quale tecnologia sia migliore, ma di capire che sono “due sport diversi” che richiedono categorie di pensiero diverse.
Il suggerimento di Lamberti è di chiamare l’insieme X-Reality, cosa ben differente dall’attuale denominazione XR-Reality, a sottolineare l’indeterminatezza dell’intera questione.
Il rischio mortale dell’abitudine
Sebbene l’immersione sia potente, il suo effetto non è permanente. L’essere umano tende ad adattarsi rapidamente alle novità: quando si prova per la prima volta un’esperienza virtuale, si verifica generalmente un ‘effetto wow’, ma già alla seconda o terza esposizione, l’effetto wow sparisce. L’abitudine, in questo contesto, riduce l’immersione e quindi l’ingaggio. La conclusione – drammatica, riferita al potenziale umano e di business – è che l’abitudine equivale a una forma di morte. Metaforica, fin quanto si vuole, ma reale.
“Questo rischio di assuefazione è il motivo per cui l’XR deve essere considerata dalle imprese una tematica non differibile”, ha evidenziato Lamberti. “D’altra parte, l’Intelligenza Artificiale è una tecnologia che per sua natura tende a diminuire l’imprevedibilità, fornendo risposte certe. E un mondo interamente prevedibile dall’AI porta alla commoditizzazione dei brand, mentre proprio la capacità di gestire l’imprevedibilità mantiene la plasticità cerebrale e ci aiuta a non invecchiare mentalmente”.
“In sintesi, l’immersività deve essere vista come una reazione, per restare umani e per sfuggire al destino di un’esistenza e di un mercato appiattiti dalla prevedibilità, dove l’abitudine equivale alla morte della creatività e del coinvolgimento”, ha concluso Lamberti. “Il vero ROI da ricercare, quello prodotto della X-Reality, non è il Ritorno sugli Investimenti, ma è il Ritorno sull’Immersività”.
di Massimo Bolchi