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Per Unicredit è fuga dai Social. Mossa di attacco o di difesa? Ne sa qualcosa Lush già corsa in ritirata. Ma poi non si può più controbattere

La notizia è di qualche giorno fa, e ha fatto istantaneamente il giro del mondo: Unicredit ha annunciato la decisione di lasciare dal 1 giugno di quest’anno Facebook, Messenger e Instagram, i tre social più seguiti. La spiegazione di questa mossa, che coinvolge anche BuddyBank, è stata senza dubbio trasparente: il desiderio esplicito è quello di “valorizzare i canali digitali proprietari per garantire un dialogo riservato e di alta qualità”.

Un altro passo in avanti lungo la strada iniziata nell’agosto dell’anno scorso, quando – dopo lo scoppio dello scandalo di Cambridge Analytica – fu l’amministratore delegato Jean Pierre Mustier a dichiarare l’interruzione delle attività di pubblicità e marketing su Facebook, fino a quando a Menlo Park non avessero avuto un comportamento etico appropriato.

Ora il cambio di rotta, che vedrà concentrare la comunicazione della propria attività sui propri mezzi digitali, il sito Internet, in primo luogo, ma anche email, telefono e chat. La decisione sarà gradualmente estesa a tutti i Paesi in cui il gruppo è presente con 26 milioni di clienti.

La decisione di Unicredit ricalca quella presa (solo nel Regno Unito) da un altro brand, celebre per il contenuto etico assunto nei suoi espliciti atteggiamenti in ambito politico, sociale e ambientale, la marca di cosmetici Lush. Anche in questo caso l’azienda si è detta “stufa di combattere con gli algoritmi”, e di “investire e lavorare per incrementare il numero di clienti che in realtà non sono i suoi”. A differenza di Unicredit la ritirata, annunciata all’inizio di aprile, investe la presenza su Facebook, Twitter e Instagram, con la marginale sopravvivenza di un hastag, #LushCommunity, per gestione dei contenuti postati sull’ultimo social.
Vogliamo essere social restituendo la parola a tutti i componenti della nostra comunità”, ha ribadito Lush, “dai soci fondatori ai singoli clienti”.

Qualche mese prima, a novembre dell’anno scorso, negli USA una ricerca del Pew Research Center aveva evidenziato che il 44% degli utenti più giovani, di età compresa tra 18 e 29 anni, aveva cancellato dal proprio telefono l’App di Facebook, un tasso quasi quattro volte superiore a quello di chi aveva 65 anni o più, le cui cancellazioni si era fermate al 12%.

Un elemento, quest’ultimo, che conferma la bontà della scelta di Lush, come ha chiarito un portavoce aziendale, di procedere “cutting out the middleman between ourselves and the Lush community”. L’insieme potrebbe ricordare quello che scriveva, in un libro dell’ormai lontano 2012, Marco Camisani Calzolari, intitolato ‘Fuga da Facebook. The back home strategy’.

Tutto bene allora. I brand e le aziende riconquistano lo spazio che è sempre stato loro, con l’obiettivo di scacciare dall’arena competitiva i sempre più ingombranti mezzani dei social. Alt: una lettura dei fatti troppo semplice. Innanzitutto vi è la necessità di rafforzare tutti i touch point alternativi, se davvero dovessero accogliere tutti i pentiti di ritorno dai social. Poi vi è la constatazione che un’azienda non può impedire che gli altri parlino di lei sui social. Se è assente, però, perde la capacità di rispondere e eventualmente correggere quanto affermato dagli altri, presentando il proprio punto di vista.

E poi guardiamo ai segnali che fanno da apripista a questo trend. Nei mesi precedenti la sua ‘uscita’ dai social, Lush aveva postato una campagna che si era rivelata un vero e proprio backlash. Una campagna di grande impatto contro le violenze e i falsi della polizia, nelle vetrine dei negozi addobbati come ‘scene del crimine’, con slogan all’insegna dell’hashtag #SPYCOP. E non è mancato chi ha messo in relazione la decisione di Lush con il clamore suscitato sui social dai molti che non condividevano la campagna.

Stesso discorso si può fare anche per Unicredit: fintech e OTT stanno tentando di sostituirsi alle banche nella mente (e nei portafogli) dei consumatori. E anche la maggiore banca italiana, con 25 milioni di clienti e attività in 18 Paesi del mondo, potrebbe aver scelto una strategia difensiva: il ritorno al primo non prenderle. Appuntamento alla prossima puntata di questa storia.