Immagini rallentate, colorate, rigate. In ogni caso modificate, riscritte, in modo che possano prendere una nuova vita. È questo che vedremo all’UnArchive Found Footage Fest, il festival dedicato al riuso creativo delle immagini che andrà in scena, nella sua terza edizione, dal 27 maggio a 1° giugno 2025 a Roma, con più di 100 opere in mostra in 10 diverse location concentrate nel cuore di Trastevere.
Diretto da Marco Bertozzi e Alina Marazzi e prodotto dall’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, il festival è un punto di riferimento internazionale dedicato alle pratiche di riuso creativo delle immagini d’archivio. L’ispirazione di quest’anno è la rigenerazione, intesa come capacità delle opere audiovisive di vivere molteplici esistenze attraverso il recupero, l’innovazione tecnologica e il gesto artistico.
“In primo luogo vogliamo affermare che non siamo un festival di documentari storici” ci ha spiegato il Direttore Artistico Marco Bertozzi in occasione della presentazione del festival lunedì a Roma. “Non usiamo il materiale d’archivio per un racconto con la voce narrante, dove le immagini non fanno altro che ribadire ciò che sta dicendo. Siamo su un versante opposto, anti-filologico, per un’elaborazione forte delle immagini, rallentandole, colorandole, rigandole, per cercare di tirare fuori il sommerso, qualcosa che continua a significare, ma che il loro uso primigenio non prevedeva. Per immagini d’archivio intendiamo quelle del cinema classico, ma anche quelle delle camere di sorveglianza, dei film di famiglia e amatoriali. L’idea del riuso porta il significato dell’immagine verso lidi che hanno a che fare con le identità molteplici, gli orizzonti ecologici del non girare nuove immagini, ma facendo film emozionanti riutilizzando immagini del passato. Molti film sono a cavallo tra l’arte visiva e il cinema più classico. Infatti abbiamo dei momenti in gallerie d’arte di Trastevere, o all’Alcazar, che era un vecchio cinema e ora è una discoteca, dove vedremo immagini accompagnate da musica”.
La rigenerazione è un concetto interessante
Non è solo quella delle immagini, ma può essere intesa in molti sensi. “È una rigenerazione emozionale, etica, a volte anche politica: alcune immagini create in dei regimi avevano un obiettivo funzionale, teleologico, e rivisitate oggi ci parlano dell’atrocità di quel regime” riflette il Direttore Artistico. “A volte le immagini felici dei film di famiglia oggi ci possono parlare di un padre autoritario che obbligava le famiglie ad essere felici. La rigenerazione è uno scavo nelle immagini. Possiamo usare una metafora archeologica, psicanalitica: si tratta a portare a nuova luce qualcosa che è sommerso e che è stato rimosso”.
UnArchive vive nel cuore di Trastevere
Vedremo le varie opere in molti luoghi del quartiere, dal Cinema Intrastevere alla Real Academia de España, dalla Casa Internazionale delle Donne all’Orto Botanico (dove è stato presentato il Festival), dalla libreria Zalib allo Spazio Scena, dal Live Alcazar fino all’eccezionale sede dell’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone. “Potremmo dire che è una rigenerazione post turistica di Trastevere” ragiona Bertozzi. “Molti spettatori ci hanno detto che stiamo togliendo Trastevere da questa monocultura turistica. Quest’anno c’è un appuntamento fuori zona, appuntamento speciale con un’opera di Bill Morrison all’Auditorium Parco della Musica. Le altre location sono a Trastevere e stanno ridefinendo questa zona”.
Il Concorso Internazionale accoglie 20 opere
Sono realizzate negli ultimi tre anni, dieci lungometraggi e dieci cortometraggi, tutte incentrate su forme libere e innovative di riuso d’archivio. I premi assegnati saranno tre: il riconoscimento generale UnArchive Award, il premio per il miglior lungometraggio e quello per il miglior cortometraggio. È sempre difficile trovare un tema tra opere molto diverse, ma si può parlare di una tendenza? “Un tema importante che segna la capitolazione della voce narrante tradizionale, è quello dell’autobiografismo” ci risponde il Direttore. “Partendo da fotografie o film di famiglia, o da un archivio, in realtà si racconta la propria storia, che diventa emblematica, ed è accompagnata da voice over asfittiche o claudicanti, lontane dalla sicumera delle classiche voice over. È un tema molto forte e si esplica attraverso queste voci fuori campo o con l’intrusione dell’animazione, che sembrava lontana dal cinema documentario invece adesso è spesso usata per raccontare gli aspetti più sotterranei che non hanno immagini realistiche, e anche il reenactment in cui alcune scene sono ricostruite per far emergere qualcosa di nascosto”.
In scena un mondo variegato
E anche profondamente connesso alla memoria collettiva. Tra i lungometraggi si segnalano il viaggio meditativo sui treni di Trains di Macie J. Drygas, la ricerca identitaria e intima di I’m Not Everything I Want to Be di Klára Tasovská, la potente operazione di recupero della memoria palestinese di A Fidai Film di Kamal Al Jafari, e l’ode al cinema perduto delle Filippine di Nitrate di Khavn. Si passa dall’analisi del linguaggio propagandistico in Eight Postcards from Utopia di Radu Jude al racconto sulla diaspora armena di My Armenian Phantoms di Tamara Stepanyan, fino alla riflessione storica e personale in A Year in the Life of a Country di Tomasz Wolski. Tra tutti, visto il momento che stiamo vivendo, è il film palestinese ad attrarre la nostra attenzione. “È molto interessante, un’esplorazione dell’identità e di una memoria che ha perso le sue tracce tangibili” ci spiega Bertozzi. “Il fatto che Israele abbia fatto irruzione nel centro di ricerca palestinese e ne abbia saccheggiato gli archivi, ha portato a fare un film in absentia, in cui la capacità del cineasta è partire da poche immagini per costruire una contro-narrazione che superi la perdita. E che al tempo stesso è una forma di sabotaggio cinematografico”.
I cortometraggi propongono percorsi altrettanto ricchi
In Razeh-del, Maryam Tafakory rievoca un “film immaginato” nell’Iran degli anni ’90. In Siluman di Paula Albuquerque, il cinema coloniale è messo in crisi dal punto di vista delle lavoratrici invisibili. L’immersione nella memoria familiare e culturale avviene in In the Flanders Field di Sachin, mentre il dilemma etico della rappresentazione digitale è affrontato in Man Number 4 di Miranda Pennell. Tra i grandi nomi in competizione tra i cortometraggi, Leos Carax che presenterà la sua riflessione artistica-personale It’s not me. Ed è proprio l’opera di questo grande autore a incuriosirci. “L’ho trovata molto interessante” spiega il Direttore. “Per fare un raffronto direi che somiglia Histoire(s) du cinéma di Jean-Luc Godard per la capacità di fare un film saggistico e autobiografico, utilizzando immagini di tutta la storia del cinema, voci proprie su pezzi di lui all’interno del suo set”.
Tornano le sezioni delle scorse edizioni
In Frontiere si ragiona sui limiti simbolici e geografici del found footage, con opere da Cina, Iran, Palestina, Algeria, Portogallo e Bosnia. In Panorami Italiani, trovano spazio autori nazionali come Parenti-D’Anolfi, Sara Fgaier e Samuele Rossi, quest’ultimo con un toccante lavoro sugli ultimi giorni di vita di Enrico Berlinguer. “Era nella cinquina dei David nella sezione documentari” ci racconta Bertozzi. “È fatto con i materiali girati in varie forme durante le ultime ore di vita di Berlinguer: racconta l’ansia che coglie il popolo comunista sapendo che il loro leader sta morendo, i tentativi dei medici di offrire dei momenti rassicuranti, l’arrivo di Sandro Pertini. È un film che racconta in maniera sommessa, tragica, potente, gli ultimi momenti di vita di Berlinguer attraverso la risemantizzazione di quel materiale d’archivio”.
Quanto è difficile oggi trovare un posizionamento per un festival?
“Questo è un festival di cinema-cinema, perché mette al centro le immagini, ma lontane da privilegi letterari o teatrali” ci risponde il Direttore. “È un festival che lavora sulle immagini, come diceva Godard, di tutta la storia del cinema: un vero festival di cinema. Vediamo film di tutti i tipi, al di là della provenienza geografica. La cosa meravigliosa è che le immagini continuano a pensare al di là della nostra significazione primigenia. Non agogniamo le anteprime: presentiamo film già presentati, che abbiamo scelto per la loro forza; non ci sono tappeti rossi, ma abbiamo super registi internazionali. È un territorio franco, molto cinematografico e poco mondano”.
di Maurizio Ermisino