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Uguaglianza sul posto di lavoro, salute mentale e Brexit: 
i temi caldi del mondo del lavoro in Europa 


Littler,  studio di diritto, ha pubblicato i risultati del suo secondo rapporto annuale European Employer Survey Report, stilato sulle base delle risposte fornite da circa 600 consulenti interni e professionisti delle risorse umane.

Il miglioramento dell’uguaglianza sul posto di lavoro è una priorità per i datori di lavoro europei e la maggior parte degli intervistati si sta muovendo per affrontare il problema della parità retributiva e delle molestie. I datori di lavoro stanno inoltre adottando una serie di misure a sostegno della salute mentale dei loro dipendenti. E nonostante l’incertezza che circonda l’imminente uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, una parte sorprendentemente alta degli intervistati si sente preparata per l’impatto occupazionale di Brexit.

Workplace Equality

I datori di lavoro europei stanno riservando molta attenzione alla parità retributiva, mostrando un accresciuto impegno su una serie di azioni potenziali rispetto a quanto emerso dall’indagine del 2018. L’incremento più significativo si è registrato nell’offerta di maggiore formazione e opportunità di avanzamento per le donne e i dipendenti diversificati (dal 21% nel 2018 al 33% nel 2019), seguito dal miglioramento della trasparenza sulle politiche salariali e retributive (dal 21% al 30%) e dalla modifica delle politiche retributive (dal 25% al 32%).

La proliferazione di leggi che impongono il controllo del divario retributivo di genere nei paesi europei sembra essere uno dei fattori trainanti di questa attività. La maggior parte degli intervistati (80%) indica che il segnalare i propri divari retributivi di genere costituisce una preoccupazione, ma i datori di lavoro europei intervistati stanno anche adottando azioni che vanno al di là di quanto richiesto dalla legge.

Inoltre, i datori di lavoro europei si stanno muovendo in modo leggermente più aggressivo per affrontare le molestie sessuali sul luogo di lavoro, aggiornando le politiche del personale (dal 26% nel 2018 al 32% nel 2019), affrontando in modo più proattivo i reclami e i comportamenti scorretti (dal 23% al 31%) e rafforzando le procedure investigative (dal 23% al 30%).

Una buona percentuale degli intervistati è d’accordo poi con l’adozione da parte dei governi europei di misure per combattere le molestie e le discriminazioni sul posto di lavoro; quasi la metà (42%) conviene con l’obbligo per le aziende di designare un punto di contatto per i lavoratori per le denunce e più di un terzo (35%) sostiene la segnalazione obbligatoria sullo stato dell’uguaglianza di genere.

Un confronto con i risultati dell’ultima indagine annuale di Littler sui datori di lavoro negli Stati Uniti, pubblicata nel maggio 2019, mostra un maggiore impegno europeo per la parità retributiva mentre in America l’impegno è più concentrato nell’affrontare le molestie sessuali sul posto di lavoro. Solo il 15% dei datori di lavoro europei dichiara di non aver intrapreso alcuna azione per affrontare la parità retributiva sul posto di lavoro, rispetto al 37% dei datori di lavoro statunitensi. D’altra parte, più datori di lavoro statunitensi riferiscono di aver preso provvedimenti in risposta al movimento #MeToo, tra cui l’offerta di formazione supplementare (22 per cento in Europa contro il 63 per cento negli Stati Uniti) e l’aggiornamento delle politiche HR (32 per cento in Europa contro il 51 per cento negli Stati Uniti).

Queste differenze possono riflettere il livello di attenzione mediatica e legislativa prestata a questi temi in Europa contro gli Stati Uniti. Le misure legali che richiedono la segnalazione del divario retributivo di genere sono state più diffuse in Europa, mentre il movimento #MeToo negli Stati Uniti ha dato origine a una serie di leggi statali che richiedono una formazione sulle molestie sessuali.

La salute mentale sul posto di lavoro

Sullo sfondo di una forza lavoro che invecchia, di una tecnologia in rapida evoluzione e delle pressioni del mercato che richiedono ai dipendenti di fare di più con meno, i datori di lavoro europei sono sempre più attenti al tema delle malattie e dei disagi mentali sul posto di lavoro. Quasi 9 intervistati su 10 (87%) affermano che le loro organizzazioni stanno intraprendendo varie azioni per affrontare e sostenere la salute mentale dei dipendenti. Il 41% degli intervistati fornisce un adeguato periodo di ferie e assenze per malattia, il 38% limita il lavoro ininterrotto e il 35% incoraggia una cultura che favorisce una comunicazione aperta tra i dipendenti e il management.

Le aziende pongono inoltre maggiore enfasi sul sostegno ai lavoratori che rientrano da un lungo congedo per malattia mentale. Più di un quarto (28%) afferma che le loro organizzazioni sono riuscite a reintegrare i dipendenti e solo il 6% dichiara di non aver avuto successo. Tuttavia, il fatto che una pluralità di intervistati (38%) non sappia se le loro organizzazioni siano efficaci o meno in tale ambito indica un continuo margine di miglioramento.

L’impatto della Brexit

Da quando il Regno Unito ha votato per lasciare l’UE tre anni fa, la potenziale ricaduta di Brexit ha creato problemi per molte aziende. Nonostante la nebbia di incertezza che circondava gli intervistati alla fine dell’estate, quando hanno risposto al sondaggio, il 48% dichiara di essere in parte o molto preparato agli impatti occupazionali di Brexit. Solo il 12% dichiara di essere impreparato o solo in parte preparato, mentre il restante 40% è neutrale. Gli intervistati del Regno Unito hanno espresso il massimo grado di preparazione; il 67% dichiara di sentirsi molto o in parte preparati.

Questa fiducia potrebbe essere guidata dalle misure proattive adottate dai datori di lavoro, come lo spostamento della sede centrale fuori dal Regno Unito, l’apertura di nuovi uffici sul continente e l’identificazione dei dipendenti che sarebbero impattati per pianificare permessi di lavoro o sostituzioni. Inoltre, tale fiducia può anche essere rafforzata dall’ottimismo degli intervistati circa il fatto che il Regno Unito adotti un sistema di immigrazione basato sulle competenze dopo l’entrata in vigore di Brexit. Quasi due terzi degli intervistati con sede nel Regno Unito (59%) ritengono che un tale sistema permetterà alla nazione di rimanere un hub globale per i lavoratori qualificati, mentre solo l’8% esprime scetticismo.

L’indagine copre una serie di altre questioni di carattere giuridico e di tematiche relative alle risorse umane che hanno un impatto sulle imprese europee, tra cui i preconcetti inconsapevoli sul posto di lavoro, le tendenze nell’uso dell’intelligenza artificiale e della robotica, l’aumento significativo della spesa connessa al regolamento UE sulla protezione dei dati (GDPR) e l’impatto della decisione della Corte di Giustizia Europea sul monitoraggio dell’orario di lavoro dei dipendenti.

“È interessante notare che una percentuale considerevole di professionisti HR e di consulenti interni, rispondendo all’indagine, si dichiarano d’accordo con misure che richiederebbero tempo e risorse aggiuntive per essere attuate” dichiarano nella nota Carlo Majer ed Edgardo Ratti, co-Managing Partners Littler in Italia. “Ciò può riflettere il riconoscimento di ciò che gli intervistati ritengono giusto per la società nel suo complesso e per gli individui colpiti da molestie sul posto di lavoro, e non, invece, necessariamente ciò che è meglio per la propria azienda”.