Oggi i dati dei clienti arrivano da mille canali diversi e troppo spesso restano intrappolati nei silos. Alessio Angiolillo, Vice President di Digitouch Marketing, spiega come le aziende possano superare questa frammentazione, collegare i numeri a insight strategici e utilizzare l’AI per anticipare trend e ottimizzare campagne. Dal retail alla telco, un approccio olistico e predittivo è la chiave per trasformare i dati in decisioni concrete e risultati misurabili.
Oggi il customer journey è sempre più frammentato e distribuito su tanti canali. Quali sono le sfide principali per un’azienda che vuole leggere i dati in chiave olistica, superando la logica a silos?
Al giorno d’oggi ogni touchpoint produce dati preziosi, ma troppo spesso questi rimangono intrappolati nei loro silos, gestiti da reparti diversi con logiche e strumenti propri. Il risultato è una serie di micro-visioni del cliente, senza mai arrivare a una fotografia completa e unitaria.
La sfida non è solo tecnologica. Certo, servono infrastrutture in grado di integrare e far dialogare i sistemi – data lake, customer data platform, soluzioni di identity resolution – ma il vero nodo è anche culturale. I silos non sono solo nei software, sono dentro le organizzazioni: marketing, vendite e customer care tendono a custodire gelosamente i propri dati, come se fossero territori da difendere. Finché non si abbattono queste barriere interne, diventa impossibile leggere i dati in chiave davvero olistica.
A complicare il quadro c’è il tema della qualità. Dati duplicati, incoerenti o non aggiornati rischiano di generare analisi fuorvianti. È il caso di un cliente che interagisce con l’azienda attraverso tre identità diverse – una per la newsletter, una per l’eCommerce, un’altra ancora per l’assistenza clienti – e che non viene mai riconosciuto come la stessa persona. Senza processi di pulizia, deduplicazione e aggiornamento, qualsiasi insight perde valore.
Un ulteriore livello di complessità è dato dalle normative, come il GDPR. Se da un lato introducono vincoli stringenti, dall’altro offrono un’opportunità: spingono le aziende a essere trasparenti, a raccogliere consensi chiari, a proteggere i dati con rigore. Questo, se ben gestito, diventa un fattore di fiducia e di differenziazione sul mercato.
In sintesi, per un’azienda che vuole leggere i dati del customer journey in chiave olistica servono tre ingredienti fondamentali: tecnologie che integrino, processi che garantiscano coerenza e aggiornamento, e soprattutto una cultura organizzativa realmente orientata al cliente. Solo così diventa possibile costruire una vista unica, dinamica e predittiva del consumatore.
Non basta più raccogliere dati: bisogna interpretarli. Qual è il passo fondamentale che permette di trasformare l’analisi dei comportamenti degli utenti in decisioni strategiche concrete?
Il passo fondamentale è la capacità di collegare i numeri a un contesto e a una visione. Non si tratta solo di leggere metriche o di osservare trend, ma di dare senso a quei segnali, traducendoli in insight che raccontino davvero chi è il cliente, che cosa cerca e perché agisce in un certo modo.
Per farlo, serve un approccio che unisca tre livelli. Il primo è analitico: strumenti di intelligenza artificiale e modelli predittivi aiutano a individuare pattern e correlazioni che altrimenti rimarrebbero nascosti. Il secondo è interpretativo: occorre saper trasformare le evidenze numeriche in storie di comportamento, andando oltre i dati grezzi per costruire una narrazione utile a chi deve decidere. Il terzo è strategico: solo quando gli insight vengono collegati agli obiettivi di business – fidelizzazione, aumento del valore medio per cliente, ottimizzazione dei canali – diventano davvero azionabili.
Il punto chiave, quindi, è passare dall’analisi alla sintesi: non accumulare dashboard infinite, ma estrarre pochi indicatori chiari che guidino le scelte. In questo passaggio risiede la differenza tra un’organizzazione che osserva il cliente e una che riesce a modellare attivamente la sua esperienza, prendendo decisioni rapide, mirate e fondate su dati solidi.
Immaginiamo un’azienda retail che raccoglie dati da diversi touchpoint: acquisti in negozio, eCommerce, app mobile, newsletter e social. Il processo per trasformare questi dati in decisioni strategiche potrebbe svilupparsi in questo modo:
Raccolta e integrazione dei dati: I dati arrivano da fonti diverse (POS in negozio, Google Analytics per il sito, CRM per le campagne email, social media insights). Per unificarli serve una piattaforma come una Customer Data Platform (es. Segment, Salesforce CDP, Tealium) o un data lake su cui convogliare tutto.
Pulizia e riconciliazione: Una volta centralizzati, i dati devono essere deduplicati e normalizzati: se lo stesso cliente compare con tre email diverse, bisogna ricondurlo a un unico profilo. Qui entrano in gioco tool di identity resolution o funzionalità avanzate presenti nelle CDP.
Analisi e arricchimento: A questo punto, con strumenti di analytics (ad esempio Tableau, Power BI o Looker) si creano viste aggregate e si individuano pattern: frequenza di acquisto, prodotti preferiti, momenti della giornata in cui l’utente interagisce di più. Con l’AI si possono costruire modelli predittivi, ad esempio per stimare la probabilità di churn o il prossimo prodotto che un cliente potrebbe acquistare.
Traduzione in insight strategici: L’analisi non resta fine a sé stessa: i risultati vengono riportati su dashboard intuitive e collegate a obiettivi di business. Ad esempio: “i clienti che acquistano online e in negozio hanno uno scontrino medio più alto del 25% → spingere campagne omnicanale”.
Attivazione operativa: Infine, gli insight guidano azioni concrete. Un esempio? Con un tool di marketing automation come HubSpot, Adobe Campaign o Klaviyo, l’azienda può attivare una campagna personalizzata: inviare un coupon via app a chi non acquista da più di 60 giorni, oppure una proposta mirata a chi ha mostrato interesse per un prodotto ma non ha completato l’ordine.
In pratica, il cuore del processo è: integrare, pulire, analizzare, tradurre e attivare. Ogni fase richiede un mix di tecnologia e governance, ma quando tutto funziona l’azienda passa dai dati grezzi a decisioni che impattano direttamente su customer experience e risultati di business.
L’AI consente di individuare segnali deboli e nuovi interessi emergenti. Come cambia il modo di pianificare contenuti e campagne quando non ci si limita a osservare i trend, ma si prova ad anticiparli?
Dalla semplice osservazione all’anticipazione strategica, il passaggio fondamentale è l’adozione di una strategia di comunicazione ‘guidata dai dati’ (ormai sulla bocca di tutti da anni), semplice da darsi, meno da farsi. Noi ci siamo interrogati un anno fa e abbiamo sviluppato un framework di lavoro che poi è diventato un tool: Trends Finder.
Basare buona parte di tutta la strategia sui dati consente di avere più velocità e precisione. La tecnologia tailor made che sfrutta l’AI, come Trends Finder, è concepita per individuare trend e opportunità di visibilità in modo rapido e preciso nei cluster semantici che si desidera, prima degli altri.
L’analisi non si limita più solo alle ricerche testuali su Google, ma offre una visione a 360° gradi di come gli utenti si informano online, aggregando i risultati da diverse fonti come Google, YouTube, Spotify e TikTok.
Grazie a queste due basi di partenza Trends Finder riesce ad identificare i trend topic per la costruzione di nuovi contenuti ma, soprattutto, si riesce anche a capire come e se è più strategico pubblicarli e su quale piattaforma. L’AI così diventa un supporto fondamentale per la definizione di piani editoriali strategici e per l’ottimizzazione dei contenuti già esistenti.
Case History – Telco e AI: anticipare le conversazioni con Trends Finder
Un grande operatore telco si trovava davanti a una sfida comune a tutto il settore: differenziarsi in un mercato saturo, dove le promozioni su tariffe e smartphone tendono ad assomigliarsi e i clienti sono costantemente bombardati da offerte. L’obiettivo era chiaro: costruire una comunicazione più rilevante, capace di intercettare i bisogni dei consumatori nel momento in cui emergono.
Per farlo, abbiamo utilizzato Trends Finder, uno strumento di intelligenza artificiale in grado di analizzare ricerche online, conversazioni e performance dei contenuti, con lo scopo di individuare i trend topic più significativi.
L’analisi iniziale ha messo in evidenza due aree di forte crescita: da un lato, l’interesse dei più giovani verso i piani 5G low cost; dall’altro, la curiosità delle piccole imprese per i bundle che includono connettività e servizi cloud. Questi insight hanno permesso al team marketing di riorientare rapidamente la strategia editoriale, creando contenuti mirati e ottimizzando quelli già esistenti.
Grazie a Trends Finder, l’operatore non solo ha capito di cosa parlare, ma anche come e dove farlo: TikTok è diventato il canale chiave per la promozione dei pacchetti 5G destinati alla Gen Z, mentre LinkedIn si è rivelato ideale per i contenuti dedicati al mondo business.
Il risultato è stato tangibile: +35% di engagement sui canali social, un aumento del 20% nelle richieste di preventivo da parte delle PMI e un miglioramento significativo delle conversioni sulle offerte 5G.
In conclusione, l’adozione di Trends Finder ha trasformato il modo in cui l’azienda costruisce i propri piani editoriali e pianifica le campagne. Non più un approccio reattivo, ma una strategia proattiva, basata su dati e insight in tempo reale, capace di anticipare i trend e posizionare il brand come punto di riferimento nel mercato telco.
L’analisi semantica diventa cruciale per capire come il target si esprime online. Può raccontarci come strumenti come Trends Finder aiutano a cogliere non solo i temi, ma anche le sfumature di linguaggio dei consumatori?
Nel mondo digitale non conta soltanto di ‘cosa’ si parla, ma anche ‘come’ se ne parla. Le persone esprimono opinioni, emozioni e bisogni con parole che cambiano a seconda del contesto, del canale e perfino del momento storico. È qui che l’analisi semantica diventa cruciale: permette di andare oltre le keyword e di cogliere le sfumature del linguaggio con cui i consumatori raccontano la propria esperienza.
Strumenti come Trends Finder aiutano proprio in questo. Non si limitano a identificare i topic più caldi, ma analizzano il tono, le associazioni e le espressioni usate dal pubblico. Se ad esempio i clienti parlano di ‘velocità’ riferendosi al 5G, è importante capire se lo fanno con entusiasmo (“finalmente la connessione vola”) o con scetticismo (“sì, veloce… ma solo sulla carta”). Questo livello di dettaglio consente ai brand di costruire messaggi più autentici, che risuonano davvero con il linguaggio del target.
In pratica, grazie all’analisi semantica integrata, un’azienda non solo sa quali temi trattare, ma sa anche quali parole scegliere e quale tono adottare per risultare credibile e rilevante. È un passaggio chiave per trasformare la comunicazione da semplice trasmissione di informazioni a una conversazione reale, capace di creare connessione emotiva e fiducia.
Nel caso della Telco, con l’adozione di Trends Finder, l’azienda ha potuto analizzare non solo i temi emergenti, ma anche le sfumature linguistiche con cui le persone parlavano online. Ma soprattutto ha permesso di leggere il tono delle conversazioni: i giovani associavano spesso il 5G a concetti di ‘libertà’ e ‘velocità senza limiti’, mentre gli imprenditori parlavano di ‘affidabilità’ e ‘continuità del servizio’.
Questa differenza semantica è stata determinante nella definizione dei piani editoriali e del posizionamento organico. Su TikTok, la comunicazione è stata declinata con un linguaggio dinamico, vicino alle espressioni della Gen Z (‘connessione che vola’, ‘sempre online’), mentre su LinkedIn i contenuti sono stati orientati a rassicurare le PMI, utilizzando un lessico più tecnico e concreto (‘infrastruttura sicura’, ‘supporto alla crescita digitale’).
Il risultato? Una comunicazione percepita come autentica e coerente.
Quando un brand scopre che il proprio pubblico sta spostando la conversazione da un canale a un altro, quali sono i primi passi da fare per adeguare la strategia di comunicazione?
Quando il pubblico cambia abitudini di conversazione e si sposta su nuovi canali, il brand deve saper intercettare questo movimento senza perdere continuità nella relazione. L’adattamento non riguarda soltanto la scelta del canale, ma anche la capacità di comprendere i nuovi linguaggi e integrare l’esperienza complessiva di comunicazione.
Il primo passo consiste nell’analizzare il pubblico: studiare i dati socio-demografici, le preferenze e i comportamenti permette di capire quali canali stanno emergendo e in che modo le persone vogliono interagire. Strumenti di CRM e di social listening sono fondamentali per raccogliere insight affidabili e tradurli in scelte strategiche.
Una volta individuato il canale, è necessario adattare i contenuti. Il messaggio deve rimanere fedele ai valori del brand, ma assumere formati e toni coerenti con il contesto: ciò che funziona in una newsletter non avrà lo stesso impatto su Instagram o TikTok.
Allo stesso tempo, la comunicazione deve restare coerente e integrata. Anche se declinato in modalità diverse, il messaggio deve mantenere un filo conduttore riconoscibile. L’integrazione dei dati provenienti dai vari touchpoint aiuta a garantire questa continuità e rafforza la fiducia nel brand.
Infine, è essenziale un’attività costante di monitoraggio e ottimizzazione:
- osservare le performance dei nuovi canali,
- individuare punti di forza e criticità,
- sperimentare nuove strategie e misurare l’engagement.
Solo così si può offrire al pubblico un’esperienza fluida, in cui sentirsi sempre coinvolto e riconosciuto, indipendentemente dal canale utilizzato.
Se volessimo indicare una priorità assoluta per i brand che vogliono sfruttare al meglio dati e AI, quale sarebbe?
Domanda ampia, ma proviamo a dare una visione completa; in prims credo che ad oggi non ci sia ‘una’ soluzione, ma molte soluzioni che però devono essere integrate in funzione di quelle che sono le aree di applicazione.
Se limitiamo il perimetro al mondo del Marketing, già di per sé una galassia di discipline e attività, direi che l’ambito in cui l’AI può trovare applicazione immediata (che non significa semplice) è l’analisi del posizionamento e delle ricerche associate a quel particolare Brand: capire per quali contenuti e/o chiavi di ricerca il brand viene ricercato, riconosciuto e associato, la segmentazione delle ‘target audience’ sempre più difficili da profilare e standardizzare, l’integrazione delle micro audience nelle diverse piattaforme di erogazione pubblicitaria e la loro redemption e l’ottimizzazione autonoma (già comunque in progress)
In un ‘multiplatform world’ avere una visione completa, contemporanea (fra tutte le diverse piattaforme) e il più aggiornata possibile degli ‘insights’ facilmente trasformabili in azioni, credo sia la necessità più immediata dei marketers; avere anche un trend predittivo su cosa i propri micro target si stanno interessando e a che cosa (bisogni, prodotti, ecc).
Viviamo nell’epoca della velocizzazione del tempo, chi non vorrebbe accanto a se un ‘supporto’ attivabile in tempo reale che si affianchi nel processo di aggiornamento dei dati e delle troppe informazioni disponibili, che analizzi in maniera predittiva se l’azione X possa portare il risultato Y.
Ecco questa è il passo forse più concreto da fare dopo la fase dell’apprendimento dell’AI: passare dalla AI generativa (Chatgpt prime versioni per intenderci) alla creazione di una serie di Agenti AI che operino in maniera autonoma ma controllata (AI informativa e autonoma), nell’attesa che la ASI (artificial super intelligence) non stravolga il concetto di ‘essere pensante’, ma questa è ancora materia da affrontare con molta attenzione.
di Monica Gianotti