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The Shrouds, Cronenberg: “Il corpo è tecnologia e viceversa. Il riflesso di quello che noi siamo”

Più che in altri suoi film, Cronenberg qui mette in scena sè stesso, rifacendosi al lutto per la scomparsa della moglie nel 2017. Un film algido, asettico, unici momenti di calore, nei sogni e nel sesso, dove gli esseri umani comunicano davvero

“Su questa cosa dei corpi ci hai costruito una carriera”. È una frase che viene detta a Karsh, il protagonista di The Shrouds, il nuovo film di David Cronenberg, nelle sale il 3 aprile, dopo essere stato presentato al Festival di Cannes e al BAFF – Film Festival di Busto Arsizio. Ma può essere riferita allo stesso David Cronenberg. Il cineasta canadese, infatti, dalla fine degli anni Settanta, attraverso i suoi film ha portato avanti un discorso personale e unico sul corpo e le sue mutazioni, dando vita anche a un aggettivo, cronenberghiano. Riferita a Karsh, invece, ha a che fare con l’attività molto particolare che ha creato, e che ha a che fare con il lutto e il rapporto di chi è in vita con i propri cari estinti. Karsh, interpretato da Vincent Cassel, è evidentemente un alter ego di David Cronenberg: i capelli lisci e pettinati all’indietro, il volto glabro ed emaciato, l’aria fredda e distaccata. Ed è un uomo che, per lavoro, gira video. In scena, stavolta più di altre, David Cronenberg mette se stesso: The Shrouds nasce dal lutto per la scomparsa della moglie, nel 2017. Cronenberg racconta tutto questo con un film raggelato, rigido, controllato, quasi asettico, dove gli unici momenti di calore, di passione sono nei sogni e nel sesso, dove finalmente gli esseri umani comunicano davvero. Con un film così legato alla morte, Cronenberg è riuscito a girare il suo film più vitale da molti anni a questa parte. Avvolto dentro una trama gialla e una struttura da noir – che non riesce a catturare, ma in fondo è solo un travestimento – c’è in realtà il vero film, che è un mélo.

Shroud vuol dire sindone

Shroud è una parola che indica il velo funerario, il sudario, la sindone. Karsh (Vincent Cassel) è un uomo d’affari che, in seguito alla morte della moglie, ha inventato una tecnologia rivoluzionaria e controversa che permette ai vivi di monitorare i propri cari defunti avvolti nei sudari. Quei sudari sono provvisti di telecamere, che possono mandarci l’immagine del corpo che vi è avvolto, visibili tramite un’app o anche tramite dei video posti sulle lapidi. Una notte diverse tombe, inclusa quella di sua moglie, vengono profanate: Karsh decide così di mettersi sulle tracce dei responsabili.

Elaborare il lutto per la morte della moglie

C’è molto dell’esperienza personale di Cronenberg, in questo film. “Sono stato sposato per 43 anni e mia moglie è morta nel 2017” ci ha raccontato ieri, in collegamento Skype con il cinema 4 Fontane di Roma. “Pensavo che non avrei fatto più film. Mia moglie era parte integrante della mia vita e del mio cinema. Ma poi ho sentito che dovevo avere a che fare con il lutto, il dolore, la morte e l’amore. Appena ho iniziato a scrivere la sceneggiatura però è diventata finzione. I personaggi sono diventati vivi e mi hanno dettato chi erano e dove dovevano andare. Per cui non è più un film autobiografico, ma una storia di finzione”.

La morte, la mutazione più naturale e inevitabile

L’artista delle mutazioni, il cineasta dei corpi in trasformazione, David Cronenberg, ritorna con un film cronenberghiano in tutto e per tutto. Da sempre interessato alle evoluzioni del corpo umano, influenzato dalla tecnologia, dalla malattia, da esperimenti scientifici, ora racconta la mutazione più naturale ed inevitabile. Quella del corpo senza vita, il corpo che si decompone, fino a diventare uno scheletro.

La tecnologia: estensione del nostro corpo

Dall’altro lato, Cronenberg guarda verso un’altra mutazione del nostro corpo. È quella sorta di simbiosi che abbiamo con i nostri device – smartphone e computer – con ogni tipo di app e di Intelligenza Artificiale. Cronenberg ne parlava in tempi non sospetti dei tool tecnologici come di una vera e propria estensione del nostro corpo e della nostra mente. “Il corpo è tecnologia e la tecnologia è corpo” ci ha spiegato il regista. “Negli anni Cinquanta c’era questa idea che la tecnologia sarebbe arrivata dallo spazio, portata dagli alieni, che sarebbe stata non umana. Ma la tecnologia è umana. Non è altro che il riflesso di quello che noi siamo. Non è che un’estensione del nostro polso, della nostra voce, dei nostri occhi. Se noi accettiamo il fatto che anche il cervello, per quello che fa, non è altro che parte del corpo, non possiamo che affermare che l’AI non è altro che il riflesso di quello che noi siamo. E così fa cose meravigliose e altre orribili, come fanno gli esseri umani”.

Non c’è nessuna strategia per elaborare il lutto

The Shrouds racconta la nostra ossessione di essere continuamente connessi con ogni cosa. E la porta al limite, alla storia di un uomo che cerca di elaborare il lutto restando connesso con quel che resta della moglie, cioè le sue spoglie. E parlando con un’assistente AI che ha un avatar ispirato a lei e parla con una voce simile alla sua. L’AI può essere un modo per elaborare il lutto? “Ho letto che alcune persone attraverso l’AI hanno creato sullo schermo degli avatar di persone che hanno perso” ci rivela il cineasta canadese. “Gli avatar hanno la stessa voce della persona defunta. Se questo sia un modo di elaborare il lutto e la sofferenza dipende dal singolo individuo. Non è un modo che applicherei. Per quella che è la mia esperienza posso dire che nessuna strategia per liberarsi del dolore e del lutto serve a nulla. Neanche fare questo film. Il dolore e il lutto non se ne vanno. La persona non la lasci andare. Quella persona, e la sofferenza, rimangono con te”.

Visionario? No, un osservatore della condizione umana

La grande qualità di David Cronenberg, oltre a quella di creare immagini ipnotiche e iconiche con i suoi film, è sempre stata quella di riuscire a leggere profondamente i tempi che stavamo vivendo, e spesso di anticiparli. Nel 1983, con Videodrome, aveva teorizzato il dominio dei video sulle nostre vite, e oggi è proprio così. Qui ci racconta i tempi di oggi ossessionati dal controllo. È un visionario o un osservatore? “Non mi sono mai considerato un visionario” risponde. “Sono un osservatore che cerca di capire la condizione umana. Se alcune delle cose che ho creato sembrano visionarie è solo per caso. Non ho mai mirato ad essere un profeta”.

Il paradiso è una frode

Alter ego del regista, il Karsh di Vincent Cassel è ateo come lui. “Sono ateo” conferma Cronenberg. “E anche il personaggio di Karsh è un ateo, lo afferma nel film. Quello che ho anche affermato in un altro film, Crimes Of The Future, il corpo è realtà, e nel momento in cui il corpo muore anche la realtà non c’è più. I miei personaggi non credono nella vita oltre la morte perché sono atei”. L’AI potrebbe provare a creare una vita oltre la morte? “È interessante che possa essere possibile creare attraverso l’AI, nei Paesi dove esiste internet, una specie di aldilà artificiale dove gli avatar dei defunti possano passare del tempo insieme. Sarebbe una cosa falsa. Ma come è falsa l’idea di paradiso che ci dà la religione e che da ateo considero una frode”.

Ho una Tesla, ma non ha niente a che fare con Elon Musk

Pieno di momenti dolorosi, eppure anche carichi di dolcezza, The Shrouds è un film che non vuole essere macabro, ma prova a comunicare un senso di accettazione, di ricerca della serenità. Che prova a lavorare sull’idea di lasciar andare chi non è più tra noi. Il finale, in questo senso, vuole provare a dirci questo. C’è anche molta attualità. Il protagonista è un magnate della tecnologia. E guida una Tesla. Ma ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti per Cronenberg si ferma qui. “Karsh non è un magnate così di successo come Elon Musk” ci risponde. “E non ha le sue aspirazioni politiche. Io ho una Tesla e la amo, e il mio rapporto con lei non ha a che fare con Elon Musk”. E chiude, dicendo con ironia. “Ma viviamo tempi interessanti”.

di Maurizio Ermisino