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Solo il 10% dei siti web è AI-ready. Ecco perché (e come) mettersi in pari prima che sia troppo tardi

Essere AI-ready significa avere una presenza digitale comprensibile, visibile e valorizzabile dai modelli linguistici come ChatGPT. Non basta più essere indicizzati da Google: oggi bisogna parlare il linguaggio di LLM, farsi trovare nelle risposte generate e trasmettere un’identità coerente

Negli ultimi mesi, i grandi modelli linguistici (LLM) come ChatGPT, Gemini o Claude sono gradualmente passati dall’essere solo strumenti per la generazione di testi a vere e proprie porte d’accesso all’informazione, sempre più spesso preferite ai motori di ricerca tradizionali.

Secondo Bain & Company, le aziende che non si adattano in tempo alla “search generativa” potrebbero perdere fino al 25% del traffico organico nel giro di pochi mesi. E uno studio di Search Engine Journal mostra che i Google AI Overviews (ovvero le risposte generate automaticamente dall’AI nei risultati di ricerca) appaiono già nel 42,5% delle SERP. Quando questi snippet vengono attivati, i clic organici calano in media di 7–10 punti percentuali.

Nonostante questa evoluzione sia sotto gli occhi di tutti, si stima che meno del 10% dei siti aziendali sia effettivamente LLM-ready: cioè ottimizzato per essere letto, capito e valorizzato dai modelli AI di nuova generazione. Esse indicizzati Seo non basta più. Oggi è necessario essere AI-Friendly. Significa essere interrogabili, riconoscibili come fonte affidabile e presenti nelle risposte generate da chatbot, assistenti vocali e motori di risposta. Se non sei presente nelle risposte dell’AI, smetti di esistere nel nuovo ecosistema informativo. Non basta più comparire tra i primi risultati di Google. Bisogna essere “compresi” e “scelti” dall’AI.

Ma come capire qual è il grado di LLM-readiness di un’azienda?

“Condurre un assessment è impegnativo e complesso – spiega Anna Paterlini, co-founder e client director  NEWU, Soft Infrastructures Consultancy che ha già iniziato a proporre l’AI enable path, un servizio specifico che prende le mosse proprio dal GEO, AEO e LLMEO Brand Audit -. La maggior parte dei brand ha una presenza digitale pensata per l’utente umano, ma non per l’utente macchina. Per molte aziende questo significa rimettere mano a tutta l’infrastruttura comunicativa: non solo il sito web, ma anche i metadati, i contenuti, la presenza su fonti terze e i processi di aggiornamento. Non si tratta più di fare SEO, ma di costruire una mappa semantica affidabile che le AI possano riconoscere, citare e valorizzare”.

5 consigli utili per capire il livello di AI-readiness dell’azienda

Pur essendo un processo complesso, una prima verifica della AI-readiness è alla portata di qualunque reparto incaricato della comunicazione digitale (che si tratti del team marketing, dell’ufficio stampa, della funzione corporate communication o del reparto digital & innovation). Con pochi passaggi, è possibile ottenere una prima fotografia utile per capire quanto il brand sia visibile, leggibile e affidabile agli occhi delle AI. Anche un assessment superficiale può rendere evidente se e quanto è urgente un intervento specialistico.

1. Aumentare il rigore nella struttura dei contenuti

I LLM non navigano come utenti umani: non cliccano, non scorrono, non interpretano layout grafici. Leggono codice e struttura. Se il sito aziendale non parla il loro linguaggio (HTML ben formattato, tag semantici, dati strutturati), potrebbe risultare invisibile. Un primo check potrebbe essere fatto utilizzando Google Rich Results Test, uno strumento che simula come i motori leggono le pagine e dice se i contenuti strutturati (es. recensioni, FAQ, prodotti) sono correttamente implementati. Se il sito non contiene dati strutturati leggibili, i LLM faranno fatica a classificare, comprendere e “usare” i contenuti.

2. Sviluppare contenuti più approfonditi e coerenti

Le AI non amano i testi vaghi, autoreferenziali o ripetitivi. Premiano contenuti, ben scritti, con struttura logica, ricchi di numeri, esempi, date, fonti e  coerenti nel tono e nel lessico lungo tutti i canali (sito, social, comunicati). Un primo passo in questa direzione è dotare il sito di una pagina FAQ chiara e glossari per spiegare termini settoriali, oltre a contenuti evergreen (guide, articoli) linkabili e riusabili che insieme a box  riassuntivi, titoli descrittivi e paragrafi auto-contenuti aiutano l’AI a sintetizzare e riconoscere il valore del contenuto.

3. Ottimizzare la presenza in contenitori autorevoli

I LLM costruiscono l’identità semantica di un brand attraverso il web pubblico, non solo dal dominio proprietario. Se non è presente su piattaforme come Wikipedia, Crunchbase, directory verticali o siti di settore, dal loro punto di vista è un’anomalia nella mappa del mondo. Le AI considerano la frequenza e il contesto con cui il brand viene menzionato online per determinare se è un’entità attendibile e da questo punto di vista anche profili Google Business e LinkedIn completi, aggiornati e coerenti sono essenziali.

4. Investire nella corretta esposizione mediatica 

Le uscite stampa su testate autorevoli sono frequentemente lette e citate dai modelli linguistici generativi, che le considerano affidabili per costruire risposte e sintetizzare informazioni. Le menzioni rafforzano l’identità semantica del brand, perché lo associano a contesti credibili e parole chiave rilevanti. È utile, inoltre, rilanciare ogni uscita su canali pubblici e facilmente indicizzabili (come per esempio il profilo Linkedin) per amplificare ulteriormente la diffusione e l’indicizzazione del contenuto.

5. Verificare periodicamente il posizionamento

Si tratta di un’attività semplice e molto utile: porre domande dirette a ChatGPT (con browsing attivo) o a strumenti come Perplexity.ai, che offrono risposte basate su ricerca web e indicano anche le fonti consultate. Per esempio: “Chi è [nome azienda]?”, “Quali prodotti offre [nome brand]?”, “Qual è la reputazione di [nome fondatore]?”. Osservare le citazioni, in che termini vengono proposte, con quali informazioni e quali fonti. Se le risposte sono assenti, vaghe o datate, è il momento di intervenire per correggere la rotta e costruire una presenza digitale che sia effettivamente visibile e valorizzabile da questi sistemi.

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