Marketing

Seth Godin: “Meglio costruire qualcosa di cui valga la pena parlare”

Le idee non si diffondono dal creatore a tutti gli altri, come in un broadcast. Le idee vanno a poche persone, che poi le raccontano agli amici, che poi ne parlano a loro volta. Messaggio personale non significa mettere un nome in uno spam.
Seth Godin, IULM

“Il marketing non è convincere la gente a volere quello che produciamo, ma produrre ciò che la gente desidera”: con questa semplice frase, oltre vent’anni fa, l’economista Seth Godin rivoluzionò alla base il modo stesso di lavorare, portando il marketing tra le attività strategiche e non più tattiche, abbandonando quindi l’idea che tutto si potesse risolvere con un semplice campagna pubblicitaria.

Lunedì sera, in occasione della presentazione dell’edizione italiana del suo ultimo libro ‘Questa è strategia’, introdotto da Massimiliano Freddi e Giuseppe Stigliano, docenti IULM e professionisti della comunicazione, Seth Godin si è confrontato in collegamento dagli USA con i presenti nell’auditorium dell’Università per esplorare le sfide e le opportunità di definire e applicare strategie efficaci nel contesto contemporaneo. Un faccia a faccia vivace e stimolante, che ha coinvolto non solo i relatori, volutamente informali sul palco, ma l’intero pubblico in sala.

La realtà non è complessa, è solo complicata

“Quasi tutto sembra complesso, ma le cose in realtà sono solo complicate”, ha esordito Godin. “Un orologio svizzero, con le sue centinaia di minuscole parti lavorate è complesso, ma non è complicato se si capisce che cosa faccia ognuno dei suoi pezzi. Quindi si può scomporre il tutto per comprenderlo: guardare le cose da vicino significa diventare competenti, rendendosi conto alla stesso tempo di non sapere. E se riusciamo gestire questa paura, la paura di non sapere, allora potremo davvero conoscere quello che ci serve”.

E naturalmente, chiunque si occupi di comunicazione a un certo punto si trova a dover fare i conti con l’idea che l’unico modo per trattare con clienti indaffarati, sopraffatti, iperconnessi sia quello di ‘pagare’ per poterli interrompere quando si vuole parlare dei prodotti o servizi che si vogliono offrire.

“La comunicazione non ha nulla a che fare con la pubblicità”, ha ripreso Godin. “Per oltre un secolo la pubblicità è stata una scorciatoia molto seducente per chiunque avesse una impresa di qualsiasi tipo, perché si potevano comprare annunci per fare abbastanza soldi per comprare altri annunci, e così via Quindi non era necessario essere intelligenti. Bastava essere coerenti. Ma negli ultimi 25 anni, il valore della pubblicità ha continuato a diminuire. E quasi nessun brand nato negli ultimi 25 anni, che si tratti di Starbucks o di Google o di Instagram, o persino di Apple, è diventato tale comprando molta pubblicità. Lo hanno fatto guadagnandosi l’attenzione. Quindi il ‘permission marketing’ non è altro che fornire messaggi personali e pertinenti alle persone che vogliono effettivamente riceverli, che vogliono accoglierli”.

“È così che il world of mouth, il passaparola, diventa davvero tale. Perché le idee non si diffondono dal creatore a tutti gli altri, come in un broadcast. Le idee vanno a poche persone, che poi le raccontano agli amici, che poi ne parlano a loro volta. Dunque è meglio costruire qualcosa di cui valga la pena parlare, qualcosa di degno di nota. Se lo si fa, non si dovrà comprare nessuna pubblicità”.

‘Personale’ e ‘personalizzato’ non sono sinonimi, anche se si somigliano

Si va allora verso una comunicazione personale, quasi individuale, che faccia sentire il singolo come l’individuo che in realtà è. Questo è quello che raccontano i libri di marketing più venduti…

“Si può essere d’accordo”, ha puntualizzato Godin, “ma attenzione al linguaggio, perché ‘personale’ e ‘personalizzato’, anche se sembrano sinonimi, in realtà non lo sono. Personalizzato, in ultima analisi, significa inserire il nome del destinatario in un messaggio di spam. Personalizzato significa usare strumenti per ‘sembrare’ di essere personali. Ma il ‘personale’ è umano, non è frutto di un’elaborazione al computer. Si può simulare, come tutto. E Amazon, per esempio, lo sta facendo benissimo. Quindi l’unica opportunità che hanno le organizzazioni più piccole, prima che i computer prendano davvero il sopravvento, è quella di mettere in atto uno sforzo straordinariamente ‘umano’ per essere davvero personali, per rompere la barriere della ‘personalizzazione automatica’ che sta diventando sempre più raffinata”.

“Quello che vogliamo è che qualcuno di umano si accorga di noi, in altre parole”, ha concluso Seth Godin. “Nelle società occidentali per lo meno, la maggior parte delle volte che le persone acquistano beni e servizi, già li possiedono. Hanno già del cibo nel frigorifero. Hanno già vestiti da indossare. Non è per questo che effettuano i cosiddetti atti di acquisto. Vanno a fare shopping perché vogliono essere visti come individui e non come membri di una massa informe di consumatori. Fare shopping perché vogliamo essere visti: anche questa, dopotutto, è un’ottima idea”.

di Massimo Bolchi