Mare Fuori 5, l’attesissima quinta stagione della serie cult della Rai, è in arrivo su Rai 2 il 26 marzo: le 12 puntante saranno trasmesse, a due a due, ogni settimana. Dal 12 marzo, con una strategia molto adatta al tipo di prodotto in questione, digital first, la quinta stagione di Mare Fuori è disponibile su Rai Play, con i primi sei episodi (l’intero boxset sarà disponibile dal 26 marzo). È la cronaca di un successo annunciato, che ha fatto andare in tilt il sito per i troppi accessi. Mare Fuori ormai è un brand, una serie che ha creato dipendenza, che ha una fanbase enorme e appassionata. Al centro della storia c’è ancora Rosa Ricci, ormai rimasta sola (all’inizio del primo episodio la vediamo rientrare nell’istituto e ritrovarsi con una compagna di cella con cui ha un rapporto conflittuale).
Numeri da record, ma Mare Fuori 5 arretra rispetto a Mare Fuori 4
Comunque vada sarà un successo, si diceva. E per Mare Fuori 5 è davvero così. I dati degli episodi in streaming (fonte: Annuario della TV) ci dicono che nella settimana 9-15 marzo (che copre quindi solo i primi quattro giorni di sfruttamento dei nuovi episodi) il totale di legitimate streams erogati ammonta a 525 milioni (che arrivano per l’80% da contenuti on demand) mentre il total time spent dei device connessi è di 64 milioni di ore (per il 62% vengono da contenuti on demand). Più nel dettaglio. Visti i 26 milioni di ore di visione e 160 milioni di stream erogati da Rai, l’apporto di Mare Fuori 5, tra il 9 e il 15 marzo, è quantificabile in 9,7 milioni di ore viste e 24 milioni di legitimate streams. Se arriviamo fino all’ultimo giorno monitorato, il 19 marzo, il totale dei nuovi 6 episodi sale a 35 milioni di legitimate streams e 14 milioni di ore. Mare Fuori 4 aveva raggiunto 124 milioni di streams e quasi 50 milioni di ore di visione a meno di due settimane dalla distribuzione del secondo blocco di episodi. Concentrandosi sui primi 9 giorni di permanenza in piattaforma dei soli 6 episodi iniziali della quarta stagione, il dato si attestava a 47,6 milioni di stream, mentre le ore di visione superavano i 20 milioni. Rispetto a questi valori, Mare Fuori 5 arretra del 28% in termini di streams e del 34% considerando il tempo di visione. Mare Fuori è anche una serie che è un’ottima occasione di Brand Integration: sono presenti infatti marchi come Lavazza, OVS, MSC Crociere e Marlù.
Mare Fuori: siamo arrivati al ‘jump the shark’?
Mare Fuori non è mai stata la rappresentazione fedele della vita dei detenuti in un carcere minorile (le critiche alla serie sono state improntate sul fatto che potesse essere fuorviante), è sempre stato chiaramente un prodotto di finzione in cui la realtà è stata dichiaratamente romanzata. Ma in qualche modo molti ragazzi sono riusciti ad entrare in contatto con una realtà che non conoscevano. La nuova stagione, però, a molti è sembrata ancora più fuori dalla realtà. Troppo fantasiosa, troppo romanzata, troppo soap opera. C’è insomma l’impressione che, come è accaduto nelle migliori famiglie, anche una serie come Mare Fuori sia arrivata al momento del ‘jump the shark’, al ‘salto dello squalo’ (l’espressione nasce dalla serie Happy Days, grazie all’episodio in cui Fonzie, facendo surf, affermava di poter saltare uno squalo, denotando il momento in cui una serie, ma vale per qualsiasi contenuto, dopo aver raggiunto il suo apice, nel tentativo di stupire e di andare oltre comincia a perdere credibilità e dunque qualità). Purtroppo è fisiologico che nel proseguo delle edizioni il livello qualitativo alla lunga cali. Ma è anche qualcosa che le produzioni si vanno a cercare, prolungando una storia ben oltre quello che sarebbe il suo naturale arco narrativo, ovviamente per sfruttarne l’appeal, e i budget dei broadcaster, insomma non si ha il coraggio di lasciare nel momento del successo qualche cosa che può ancora funzionare.
Lost: 3 grandi stagioni, il calo, la ripresa
Come detto, non succede così raramente e non parliamo di serie minori, ma di opere che hanno fatto la storia della serialità. Una di queste è Lost, creata da J.J. Abrams e Damon Lindelof per il network americano ABC, un vero game changer. Arrivata come una tempesta a ciel sereno, è stata una continua sorpresa per le prime tre stagioni: la scoperta dell’isola, la botola, gli ‘Altri’. E poi i viaggi nel tempo, e l’incredibile storia di Penny e Desmond con il gran finale della stagione 3. Ricordate? ‘Not Penny’s boat’. Dopo quel finale lancinante non si poteva salire ancora. Sono arrivate poi altre due stagioni, in cui l’Isola veniva spostata fisicamente e altre amenità, mentre il pubblico aspettava le risposte. Sono arrivate, nell’ottima stagione 6 che ha messo a posto tutto a lanciato Lost nella Storia. Ma 4 stagioni sarebbe stato il respiro giusto per la serie.
The Handmaid’s Tale: uno schema reiterato
Un’altra serie cult, che proprio tra un mese, l’8 aprile, vedrà l’inizio della sua ultima, agognata stagione, è The Handmaid’s Tale, alias I racconti dell’ancella, tratta dal romanzo di Margaret Atwood del 1984, trasposto magistralmente in immagini iconiche e reso vibrante grazie a una grande attrice, Elisabeth Moss, poi anche regista e produttrice. È un prodotto Hulu portato in Italia da una lungimirante Timvision. La prima stagione, indelebile, è di fatto l’adattamento del romanzo: si chiude con una partenza verso l’ignoto, un finale aperto. Il libro serra la sua storia in quel momento. Le successive quattro stagioni, pur ottime per cura produttiva, impatto visivo, emotività, pur facendo evolvere i personaggi, portando alla luce alcune sfumature sulla questione femminile, sulle migrazioni, sugli attuali Stati Uniti, propongono continue reiterazioni della stessa formula – in particolare quando si parla di violenze – e un continuo tornare al punto di partenza, frustrante in primis per la protagonista, ma anche per lo spettatore. La fine della quarta stagione, in attesa della stagione finale, sembra però promettere bene per una svolta narrativa.
La casa di carta: il salto dello squalo dopo la Zecca di Stato
E che dire de La casa di carta, una delle serie simbolo di Netflix? Ha una storia ancora diversa. Era stata girata una stagione della serie, con episodi di circa un’ora, per una delle reti nazionali di Spagna, e non aveva funzionato. Acquisita da Netflix, è stata rimontata con episodi più brevi, di circa 40 minuti, un formato adatto alla piattaforma. Così è stata vista nei proverbiali ‘190 paesi’ ed è diventata un successo mondiale, oltre che un’opera iconica. Montata in questo modo, ecco che la stagione unica della serie è stata sdoppiata nelle stagioni 1 e 2: autoconclusive, con la rapina alla Zecca di Stato portata a termine. Il successo è stato tale che Netflix, a furor di popolo, ha chiesto un seguito. Ma il salto dello squalo è arrivato immediatamente dopo la fine della prima rapina. E così ecco altre tre stagioni, con giochi ad incastro e flashback per tenere in scena alcuni personaggi (Berlino) e continui nuovi arrivi per alimentare la storia, con il risultato di snaturare quella che era una rapina di ladri gentiluomini (certo, si fa per dire…) che nella stagione 5 è diventata un war movie, una sorta di guerra del Vietnam in cui le mitragliatrici erano protagoniste. Un altro esempio è Shameless: lo schema narrativo dei poveri e scorretti ma di buon cuore è andato avanti per nove stagioni…
Serie che non mostrano la corda: 24, Mad Men, 1992
Ci sono anche esempi in cui le grandi serie non hanno mai, o quasi, mostrato la corda. Pensiamo alla serie action in tempo reale 24, un altro game changer della serialità mondiale, che per tutte le sue 8 stagioni non ha mai perso di ritmo e di interesse, aggiornando inoltre sempre il pericolo alle questioni della geopolitica mondiale e alzando sempre l’asticella del rischio e della suspense (perdendo qualche colpo solo nel sequel 24: Live Another Day, arrivato tre anni dopo la fine della serie e con soli 12 episodi). In tutte le sue 7 stagioni non ha mai perso interesse Mad Men, la serie americana che racconta il mondo della pubblicità tra gli anni Sessanta e Settanta. E non è un caso, come ci ha raccontato Stefano Sardo, che fosse ispirata a Mad Men la serie 1992 / 1993 / 1994, una delle migliori serie italiane, scritta da Sardo, Rampoldi e Fabbri con Stefano Accorsi protagonista: nessuna tentazione di seguiti, o di evoluzioni. Ma una parabola che va dal crollo dell’ancien regime fino alla restaurazione, un arco narrativo dallo scoppio di Tangentopoli al primo governo Berlusconi e al primo avviso di garanzia consegnato a Napoli.
David Lynch fa storia a sé. Risorse dalle ceneri
Fa storia a sé il genio. David Lynch, con il suo I segreti di Twin Peaks non è stato esente da un calo qualitativo. Il ‘salto dello squalo’ per lui è arrivato esattamente dopo la puntata in cui si scopre l’assassino di Laura Palmer, che il network aveva preteso di anticipare a metà della stagione 2. Il conseguente allontanamento di Lynch dalla serie ne decretò la perdita di qualità. Nel 2017, però, Lynch decise di tornare e di realizzare la terza stagione, ottenendo dal network il completo controllo artistico. Il risultato fu una serie autoriale dalla qualità altissima. E fu così che riuscì ancora una volta a cambiare la storia della serialità.
di Maurizio Ermisino