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Scissione, su Apple Tv+ torna la serie cult che racconta, per iperbole, il mondo del lavoro

di Maurizio Ermisino

L’inizio del primo episodio della seconda stagione di “Scissione” è di un’eleganza formale ineccepibile. Il protagonista Mark Scout si muove in un dedalo di corridoi di un bianco abbagliante e straniante. È una scena che sembra uscita da un film di Kubrick e da un quadro di Escher contemporaneamente. Scissione (Severance in originale) è la serie firmata dal regista e produttore esecutivo Ben Stiller e dal creatore, scrittore e produttore esecutivo Dan Erickson. È in arrivo, con la seconda stagione, il 17 gennaio su Apple TV+.

L’equilibrio tra lavoro e vita privata

Mark Scout (Adam Scott) guida un team di lavoro della Lumon Industries i cui dipendenti sono stati sottoposti a una procedura di scissione, che divide chirurgicamente i loro ricordi professionali da quelli personali. Questo audace esperimento di “equilibrio tra lavoro e vita privata” viene messo in discussione quando Mark si ritrova al centro di un mistero da svelare che lo costringerà a confrontarsi con la vera natura del suo lavoro… e di se stesso. Nella seconda stagione, Mark e i suoi amici scoprono le terribili conseguenze derivanti dall’aver giocato con la barriera della separazione, che li trascinerà ulteriormente lungo un percorso di guai e dolore.

Il classico what if

Quello alla base di Scissione è quello che si chiama un classico “what if”. Che cosa accadrebbe se un’azienda decidesse di separare – con un’operazione simile ad un intervento chirurgico – i ricordi di alcuni suoi dipendenti, in modo che, una volta al lavoro, ricordino solo cose inerenti alla loro vita professionale e, una volta a casa, dimentichino il lavoro e pensino solo alla loro vita privata? Lo spunto è geniale. Ed è uno di quei concetti in grado di risuonare in ognuno di noi. Scissione è una di quelle serie fatte appositamente per farci chiedere come reagiremmo in certe situazioni. Come sarebbe essere al lavoro senza pensare all’amore, ai figli, alla propria casa, alle proprie passioni, ai propri problemi? Saremmo più efficienti? Ma davvero, senza le nostre passioni, avremmo la stessa forza? E come sarebbe la vita privata senza i pensieri del lavoro ad attanagliarci? Sarebbe più spensierata?

Una metafora dei rapporti

Forse questa scissione non è proprio un sogno per chi lavora. Ma sarebbe forse il sogno di ogni azienda, di ogni datore di lavoro. Scissione, in questo senso, è la metafora, ma anche l’iperbole, degli attuali rapporti di lavoro, in cui spesso si chiede ai dipendenti una sorta di spersonalizzazione e di annullamento in nome dell’efficienza e della produttività. Avere dipendenti “liberi” dai condizionamenti che la vita inevitabilmente porta con sé farebbe pensare a lavoratori che sono come automi, come macchine: senza distrazioni, senza passioni, senza ostacoli.

La scissione esiste già?

Ma siamo sicuri che la “scissione” in certi casi non avvenga già? Ci sono tanti di noi che hanno due telefoni cellulari, uno personale e uno per il lavoro, e che decidano di tenere acceso l’uno o l’altro a seconda delle situazioni. Ci sono posti di lavoro dove, durante l’orario di servizio, non è possibile rispondere al proprio telefono personale, o addirittura non è possibile avere accesso a internet o ai social media. Una limitazione della vita privata, in fondo, è anche questo. La scissione di cui parla la serie non è dunque che l’iperbole di una situazione che già esiste. È un’applicazione, ovviamente estremizzata e immaginaria, del fordismo e del taylorismo, teorie che puntavano a una razionalizzazione del lavoro.

Un racconto sospeso, ipnotico e compassato

Scissione potrebbe essere un’idea da episodio di Black Mirror. Ma l’atmosfera della serie Apple Tv+ è completamente diversa: non ha i toni cupi e minacciosi della serie di Charlie Brooker. È piuttosto un racconto sospeso, arioso, dal ritmo ipnotico e compassato. Tutto è surreale. Il mondo in cui si muovono i protagonisti è retrofuturistico. Scissione è ambientata in un futuro come sarebbe stato immaginato molti anni fa. O anche in un passato alternativo in cui le tecnologie non sono quelle del tempo, ma sono molto avanzate.

Ma la passione dove è?

Forte di molti premi a livello internazionale, e delle lodi di tutti gli addetti ai lavori, Scissione, però, probabilmente non riesce ad entrare nel gotha delle grandi serie tv della nuova era. Delle serie che hanno fatto la storia della tv, e di quelle della nuova golden age televisiva, non ha l’impatto, l’iconicità, e quella costruzione da binge watching, quella suspense e quell’attesa che spinge a divorare un episodio dopo l’altro. Rispetto alle grandi serie Scissione probabilmente manca di passione. È presentata come un thriller, ma di quel genere non ha l’incedere, la tensione, il senso di minaccia. Ha degli aspetti di mistero e investigazione. Ma il tono sospeso, surreale, da commedia, rendono il prodotto più freddo e distaccato rispetto a tanti prodotti di successo. C’è una sorta di distanza tra i personaggi e noi che guardiamo, e questo si sente.

Il mito della caverna

Scissione, in fondo è filosofia pura. Mark Scout, a cui è successo qualcosa che ne limita la scissione, è un risvegliato. È come l’uomo che è uscito dalla caverna e ha visto la vita reale, come racconta il mito della caverna di Platone. È proprio così che può essere visto Scissione: la versione moderna e seriale di uno dei miti più famosi della filosofia.