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‘Rumore di Fondo’, la rubrica che Enrico Verga dedica ai lettori di youmark. Oggi si parla di nazionalismo digitale ovvero, come si difende il buon nome di una nazione. E perché noi non lo facciamo, a suon di digitale

Il 25 di gennaio 2014 il New York Times usciva con una notizia dal titolo allarmante: Extra virgin suicide. Con una simpatica animazione, il famoso quotidiano spiegava che la maggior parte della produzione di olio extra vergine italiano (un tipo di prodotto che il mondo ci invidia, ben superiore nella qualità e nelle fragranze al classico olio di oliva) era svolta con metodi approssimativi e con olive di origine non italiana. In pratica, con una singola notizia si distruggeva una tradizione, un patrimonio culturale, gastronomico e economico, durato secoli.

Gli americani sono un popolo adorabilmente semplice e su temi complessi di norma hanno l’abitudine di essere drastici: buono o cattivo, bianco o nero. La conoscenza media degli americani dell’olio extra vergine di oliva non è particolarmente elevata, anzi verrebbe da dire che molti di loro hanno avuto modo di approfondire il tema proprio grazie a questo pezzo del New York Times. Il problema tuttavia è che il metodo di catalogazione americana ‘buono cattivo’ ha subito definito l’olio extravergine di oliva come cattivo e, mi sembra ovvio per estensione, gli italiani come ‘imbroglioni’. Cosi dopo pizza mafia e mandolino ora siamo additati anche per il ‘falso’ olio extra vergine d’oliva.

Significative, a proposito, le reazioni del nostro governo, del ministero dell’agricoltura (al momento ancora presieduto dall’On De Girolamo) della comunità diplomatica e di Expo 2015 che, entro meno di un anno parlerà al mondo di cibo. Quali? Nessuna. Reazione pressochè nulla.

Quando Putin dovette lamentarsi dello scenario Siriano che stava degenerando, scrisse una lettera aperta al New York Times (subito pubblicata).  Nel nostro caso, c’è voluto l’intervento di un americano, Eryn Balch,
Executive Vice President
North American Olive Oil Association di stanza in Italia, che ha scritto una mail al New York Times per spiegar loro che si sbagliavano.

Il tutto per dire che, invece, sarebbe auspicabile che la difesa del brand di una nazione, la nostra, passasse da un digitale forte, gestito in prima persona dalla medesima e da protagonista.

Consideriamo l’esposizione mondiale del 2015. Avrà luogo in Italia, ma è evento di connotazione mondiale. Implica che chi chiunque ne sarà in diversa maniera coinvolto, utilizzerà differenti strumenti, tra cui per esempio twitter, per tenersi informato e per informare. Presso l’ONU esistono 6 lingue considerate internazionali: francese, inglese, spagnola, russa, cinese, araba. Si suppone che queste 6 possano permettere alla maggior parte della popolazione mondiale di poter accedere ai contenuti. Peccato che il sito di Expo2015 parla 3 lingue: italiano, francese, inglese, dimenticandosi di nazioni con una forte connotazione nazionalista e patriottica, e un discreto capitale di investimenti, quali Russia, Cina e nazioni della penisola arabica. Che potrebbero ‘gradire’ il riuscire a leggere anche nella loro lingua. L’account di twitter di expo2015 parla solo italiano e inglese. Twitter è uno strumento di comunicazione e proiezione. Diffondere informazioni a largo spettro anche per chi non parteciperà fisicamente all’evento è basilare.

Spiega Enrico Gasperini, fondatore audiweb e Digital Magics, :“La proiezione estera di una nazione, in termini di brand non è solo un fatto di puro nazionalismo. Al contrario, crea uno scenario positivo, a costi limitati, per le aziende, avvantaggiando export e apertura di nuovi impianti.

Un episodio come quello accaduto con l’Olio extra vergine di Oliva, dunque, è molto grave, dovrebbe esistere una taskforce di ‘guerrieri digitali’, o semplici pr, che tempestivamente agiscano in semi autonomia per affrontare immediatamente la relativa sfide di comunicazione. La creazione di un sistema di mappatura digitale che permette di recepire gli attacchi, pur solo mediatici, e reagire di conseguenza, è fondamentale per la crescita di un paese”.

La ricchezza dell’Italia, povera di materie prime, risiede infatti nella processazione di materie prime. Non coltiviamo neppure un chicco di caffè sul suolo italiano, eppure ‘l’italian roasted coffee’ è un concetto familiare per chiunque lo apprezzi. Sarebbe dunque auspicabile che  a livello di governo centrale e governi regionali, ci dotassimo di strumenti e personale adatto a sfidare il mondo. Se un piccolo stato come il Qatar ha creato Al Jazeera TV, diffondendo il suo brandi di nazione equilibrata, ricca e creativa, cosa ci manca  per fare altrettanto? Forse solo la volontà.

@enricoverga

Chi è Enrico Verga
Classe 1976. Master in Relazioni internazionale Università Cattolica. 
Manager. Membro comitato esecutivo Global shapers (World economic Forum), Analista geopolitico per Longitude (mensile Ministero Esteri), capo Horn (mensile sole 24 ore), Libero, Fatto quotidiano, Panorama. Fondatore di Dream Job (magazine di annunci di lavoro per le organizzazioni internazionali).