Media

Pubblicità: i commi ‘anti-sessismo’ mai attuati e la legge che non doveva neppure nascere

Youmark ha voluto approfondire il senso della recente petizione sollecitata dalla newsletter di Mizio Ratti, inerente alla volontà di abrogazione dei commi 4-bis, 4-ter e 4-quater della legge n.156 del 2021 da parte dei Senatori di FDI, Salvo Pogliese e Lucio Malan

Firmata durante il Governo Draghi dall’ex deputata del PD Alessia Rotta e dalla senatrice Raffaella Paita, quella legge, modificando l’articolo 23 del Codice della Strada, proprio grazie a quei commi sanciva il divieto di mostrare sui cartelloni pubblicitari campagne che mercificano il corpo femminile, messaggi sessisti, violenti e stereotipi di genere offensivi.

Partiamo dai commi incriminati

Comma 4-bis.‘Vieta sulle strade e sui veicoli qualsiasi forma di pubblicità il cui contenuto proponga messaggi sessisti o violenti o stereotipi di genere offensivi o messaggi lesivi del rispetto delle libertà individuali, dei diritti civili e politici, del credo religioso o dell’appartenenza etnica oppure discriminatori con riferimento all’orientamento sessuale, all’identità di genere o alle abilità fisiche e psichiche’.

Comma 4-ter. ‘Stabilisce che con decreto dell’autorità di Governo delegata per le pari opportunità, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili e con il Ministro della giustizia, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della disposizione, sono stabilite le modalità di attuazione delle disposizioni del comma 4-bis’.

 E comma 4-quater. ‘L’osservanza delle disposizioni del comma 4-bis è condizione per il rilascio dell’autorizzazione di cui al comma 4; in caso di violazione, l’autorizzazione rilasciata è immediatamente revocata’.

Bene, premesso che per prima cosa abbiamo scritto ai Senatori diretti interessati chiedendo spiegazioni, così come all’ufficio stampa di FDI, ma purtroppo senza aver ricevuto risposta alcuna, in contemporanea contattavamo Vincenzo Guggino, Segretario Generale dell’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, che subito ha dipanato ogni nostro dubbio: “Quella legge non è mai stata attuata. La finalità era ed è sacrosanta ed è la stessa per la quale lo IAP da anni lavora efficacemente per debellare le pubblicità sessiste. Era ed è sbagliato, a nostro avviso, lo strumento e il meccanismo legislativo adottato a causa della sua farraginosità e perché non ha tenuto conto della funzione e del lavoro svolto dall’Autodisciplina pubblicitaria. Non tenendo conto peraltro che lo IAP vanta due protocolli d’intesa con il Dipartimento delle pari opportunità e con Anci proprio in tema di pubblicità sessista!”

Il ruolo dello IAP

Prima di proseguire due parole su cosa sia lo IAP, così da capire perché trattasi dell’opinione più autorevole in tema. Come recita nel suo stesso sito, lo IAP è organo di autodisciplina, infatti, dal 1966 tutela il cittadino-consumatore e agisce sia d’ufficio che su segnalazione del pubblico. I suoi membri non possono essere scelti tra esperti che esercitano la loro attività professionale in materia di autodisciplina della comunicazione commerciale e sono posti in condizione di giudicare con assoluta indipendenza e imparzialità. Il Comitato può sottoporre al Giurì i messaggi ritenuti non conformi al Codice; può operare con un’azione di moral suasion, invitando gli inserzionisti a modificare le comunicazioni che presentano scorrettezze; può emettere le ingiunzioni di desistenza nei casi di manifesta contrarietà al Codice. Su richiesta, può esaminare in via preventiva le comunicazioni commerciali non ancora diffuse.

Una legge nata malata e mai attuata. Come dire petizione contro il nulla

Come ci fa giustamente notare Giuggino, può un organo politico decidere giudicando i messaggi con assoluta indipendenza e imparzialità? Se così fosse, un tema ideologico diventerebbe subito politico, per questo non può essere censurato con legge. Pensate solo che Milano non è tra le 20 città che hanno sottoscritto il protocollo IAP ANCI. Perché, e il tentativo di riprovarci IAP lo fece con giunte di diversi schieramenti, in sede commissione Pari Opportunità, dove siedono esponenti sia di destra che di sinistra, il voto su cosa ‘promuovere’ e cosa no diventava subito una questione politica. Non è che un esempio.

“Senza contare come quella legge del 2021 fosse una legge malata sin dall’origine” ci spiega Guggino che prosegue “anche in considerazione dell’ovvio coinvolgimento di diversi Ministeri, dai Trasporti alle Pari Opportunità, e territori, pubblicità comunale o nazionale e poi dove? Strade di provincia o superstrade, o quali altre? Insomma, passati i 90 giorni dall’emanazione, non è stata mai attuata”.

Torniamo alla petizione

Fermo restando che ringraziamo Mizio Ratti che con la sua newsletter regala a tutto il comparto ottime occasioni di approfondimento e riflessione, questa volta dobbiamo dissentire dall’unirci al coro di proteste che vorrebbe sollecitare. In primis perché, come dalle righe sopra scritte dimostrato, trattasi di questione di lana caprina, ossia il fatto non sussiste, soprattutto nelle implicazioni che alla possibile abrogazione vorrebbero essere collegate. Seguiamo da anni il premio Equal. Eravamo anche lo scorso aprile alla sua conferenza stampa, tanto che uscimmo con un pezzo in cui si dichiarava finita l’era delle forzature. Non certo perché si debba abbassare la guardia sul valore di una comunicazione equa ed inclusiva, ma perché i dati danno ragione al lavoro in questi anni svolto, senza bisogno di leggi a normare quanto sia o meno concesso dire o mostrare. Gli stessi dati dell’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria (IAP) confermano, infatti, come i casi di pubblicità realmente sanzionabili siano rarissimi e ormai in costante diminuzione. Nel 2024 solo uno, risolto peraltro senza controversie. Peccato che i femminicidi continuino invece a crescere. La Pubblicità, quindi, può molto, ma non abbastanza.

di monica lazzarotto

Articoli correlati