Come emerge chiaramente dalle risposte di Anna Vitiello, Direttore Scientifico OBE, ed Emanuele Nenna, Presidente OBE, nonché Ceo Dentsu Creative DENTSU ITALIA, il tutto all’interno di un perimetro molto interessante, come dimostano i dati della la ricerca ‘From Podcast to Branded Podcast 2025’, realizzata da OBE, in collaborazione con BVA Doxa. Vi abbiamo, infatti, già anticipato il valore di un’audience pari a 15,5 mio (in crescita del 2% sullo scorso anno), ma il dato ancora più interessante è che ben 6,2 mio di loro sono gli appassionati, tecnicamente qui definiti hunters, per la loro capacità di ricercare e di dettare tendenze, e questi crescono del 3%, banalmente significa che chi inizia ad ascoltare podcast non li molla e finisce per farlo 2-3 volte a settimana.
Il target
Interessante anche il tipo di target, bilanciato tra uomini e donne, concentrato sulla fascia di età 25-54 anni e con ben il 46% di laureati. Tra le piattaforme di ascolto,il primato resta a YouTube (57%) e Spotify (55%), seguiti da Amazon Music (30%) e dal canale diretto autore/speaker/influencer (20%), quest’ultimo in leggera crescita (+3 punti percentuali), anche perché dalla ricerca emerge che ancora più del genere a definire le scelte degli appassionati inizia ad essere direttamente ‘la voce’, piuttosto che l’autore. Stabili le piattaforme specialistiche Audible (14%), Apple Music (10%) e Spreaker (6%).
Multitasking
Il 77% degli ascoltatori dichiara di fare altro durante l’ascolto. Viaggi e commuting (54%), attività domestiche quotidiane (51%), attività sportiva (36%). E se il multitasking garantisce il vantaggio di coprire con l’ascolto diversi momenti della giornata, qualche domanda ci viene da porcela in tema attenzione, ma la ricerca sembra smentirci. In quanto a device, lo smartphone è re (78%), seguito dall’ascolto in auto (39%). Emerge anche il fenomeno del co-listening, ovvero l’ascolto condiviso, che coinvolge il 20% degli utenti.
Le scelte: la velocità non vince
L’abbiamo accennato, se resta vero che l’argomento continua a essere il principale motivo di targettizzazione, cresce l’importanza della voce narrante (27%), con gli hunters a ricercare nuovi creator. Aumenta l’esigenza di approfondimento (46%) rispetto all’informazione (41%), pur rimanendo significative altre motivazioni come svago, relax e ispirazione. Non a caso, ii temi più ricercati sono inchieste/reportage (39%), attualità (38%), intrattenimento (33%), con un interesse crescente verso contenuti verticali come formazione professionale (21%) e gli economico-finanziari (20%).
Dove si fa la ricerca?
Per scoprire nuovi podcast, il 32% degli utenti utilizza Google, il 24% si affida ai social media, un altro 24% segue i consigli di amici/colleghi, mentre il 22% ascolta i suggerimenti di esperti, giornalisti e editori. Il 58% si affida alle piattaforme specializzate.
Voce o video?
Per quanto riguarda i formati, quasi la metà del pubblico (47%) resta fedele al solo audio, mentre il 45% consuma anche i video, per i quali la piattaforma più utilizzata è YouTube (81%), seguita da Spotify (44%).
Grandi assenti i branded podcast con la BP
Alla domanda di citare case top, infatti, la risposta è “non abbiamo ancora un nostro Superbowl”. Eppure i branded podcast mostrano un impatto positivo in termini di ricordo e KPI di brand (il 37% degli ascoltatori ha scoperto brand che non conosceva, mentre il 36% ha imparato a conoscere e ad apprezzare alcune marche o aziende) generando passaparola e brand advocacy (il 46% sostiene che i podcast sono argomento di conversazione, al 50% piace consigliare podcast da ascoltare e al 52% farsi consigliare). Numeri che fanno ben sperare, ma c’è un ma. Che è sempre quello della qualità, che poi trasversalmente riguarda tutto l’entertainment, come da tempo l’industry sostiene. Basilare, infatti, è non cadere nell’errore di contenuti poco aiutentici o forzatamente commerciali (il 42% degli intervistati ha trovato i branded troppo commerciali, con il 44% a volerli più interessanti).