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Piccole aziende familiari crescono, aprendosi finalmente ai manager esterni. Un cambiamento destinato a dare i suoi frutti nei prossimi anni

Il processo di apertura delle imprese familiari a manager esterni comincia a interessare anche le imprese più piccole, secondo i dati della nona edizione dell’Osservatorio AUB sulle aziende familiari italiane, a cura di Guido Corbetta, Fabio Quarato e Alessandro Minichilli dell’Università Bocconi, presentato mercoledì scorso a Palazzo Mezzanotte di Milano.

Negli ultimi due anni, su 253 casi di successione in un’impresa familiare italiana con un fatturato compreso tra i 20 e i 50 mln di euro, in ben 59 casi (il 23,3%) si è passati da un leader familiare a un leader non familiare. “Si tratta di numeri già significativi”, afferma nella nota il coordinatore della ricerca, Guido Corbetta, “e di un fenomeno che segue di qualche anno il processo già avviato dalle imprese più grandi e che ha dimostrato di pagare in termini economici e finanziari”.

L’apertura ai non familiari risulta, infatti, correlata ad aspetti positivi come la crescita dimensionale e la capacità di esportare. Se, infatti, resta vero che le imprese familiari di terza generazione soffrono in termini di redditività, questa relazione è più debole quando le imprese sono di dimensioni maggiori e quando si registra, appunto, la presenza di consiglieri esterni.

Le rilevazioni dell’Osservatorio AUB confermano che le aziende familiari creano occupazione (+20,1% negli ultimi sei anni, seguito dal +14,4% delle cooperative e consorzi, il +5,7% delle filiali di imprese estere, il +1,4% delle coalizioni, il -8,7% delle imprese controllate da fondi e il -12,3% delle imprese ed enti statali), crescono più delle altre (+47,2% negli ultimi 10 anni, contro il 37,8% delle altre imprese), registrano una redditività più alta (Roi del 2016 al 9,1% contro il 7,9% delle altre) e hanno un rapporto di indebitamento più basso.

All’interno dell’universo delle imprese familiari, due sottoinsiemi particolarmente performanti sono quelli delle familiari quotate e di quelle che superano i 500 milioni di euro di fatturato (le Over 500).

Le imprese familiari quotate sono più grandi della media (il 45% ha un fatturato superiore ai 250 milioni di euro, contro il 7% delle non quotate), più longeve (il 28% ha più di 50 anni, contro il 10% delle altre), sono cresciute 20 punti percentuali più delle altre negli ultimi 10 anni e sono molto più propense ad effettuare acquisizioni (76,9% vs 4,6%), investimenti diretti esteri (88% vs 28%) e ad esportare.

Le grandi imprese familiari (le Over 500) si distinguono per modelli di leadership più strutturati: c’è un amministratore unico solo nel 5,2% dei casi, contro il 26,6% della globalità delle imprese familiari; il leader è non familiare nel 32,2% delle Over 500, contro il 12,3% delle altre. Sono, inoltre, dieci volte più propense ad effettuare acquisizioni e sono campioni di internazionalizzazione: il 74,7% di esse ha realizzato investimenti diretti esteri e il 38,4% esporta più del 70% della produzione.

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