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Perché gli investimenti dei marketer andranno di più dove sono meno desiderati?

Torniamo sulla riflessione aperta dalla ricerca Kantar Media Reactions: contrariamente a dove i consumatori dimostrano di essere ben disposti nei confronti dell’adv (point of sales, Ooh, eventi sponsorizzati, magazine, cinema e radio) la volontà di investimento dei marketer va in altra direzione

Perché a giudicare dai risultati sembra davvero un paradosso. Ovvio che la disamina non sia banale quanto sembra, ma è inevitabile accostare a questi dati anche l’evidenza di un marketing sulle difensive, con poco coraggio, orientato al breve, alla ricerca di conferme più che di sfide (leggete a tal proposito l’intervista rilasciata a youmark da Fernando Machado, così come recuperate anche quella a Federico Capeci di qualche tempo fa, in merito all’identikit dei brand che crescono). Tutto questo come premessa alle righe che seguiranno, che sono il parere di Attilio Redivo, founding partner e Ceo outocome#, sul tema, invitando chi avesse qualche cosa da dire a scriverci a redazione@youmark.it.

“Condividiamo pienamente l’idea che una comunicazione vada valutata non solo in base ai risultati immediati, ma anche in funzione di ciò che lascia come patrimonio al brand. Per questo, una misurazione combinata di breve e lungo periodo è indispensabile: i click o le conversioni ci raccontano solo una parte della storia, mentre metriche come sentiment, brand lift, percezione e retention restituiscono un quadro più completo e strategico.

La complessità dei processi di comunicazione

Allo stesso modo, le opinioni espresse dal pubblico su canali e formati pubblicitari sono importanti, ma non raccontano tutta la complessità dei processi di comunicazione. Fenomeni consci e inconsci si intrecciano e ciò che viene percepito nell’immediato non sempre corrisponde a ciò che, nel tempo, sedimenta nella memoria e contribuisce a costruire atteggiamenti e conoscenze verso un brand. Da qui l’importanza di due aspetti: la creatività, che deve essere non solo forte ma anche contestuale, e la capacità di ascolto. Un messaggio funziona davvero se è pensato per il canale e per il momento giusto, evitando soluzioni troppo intrusive — soprattutto con target come la Gen Z, che rifiuta formati percepiti come interruzioni — e sperimentando invece modalità più native e integrate. Allo stesso tempo, ascoltare i consumatori significa andare oltre i numeri delle survey: servono ricerche qualitative, test sul campo, osservazioni che mettano insieme dati di consumo reale e insight emozionali

Il tranello delle tendenze

Infine, un avvertimento sul rischio di ‘seguire la tendenza’. Gli incrementi attesi negli investimenti digitali che la ricerca Kantar ha quantificato (+40-70%) indicano un entusiasmo diffuso, ma senza un’adeguata strategia si rischia una sistema digitale non efficace, a scapito di canali più tradizionali che continuano ad avere un ruolo chiave in termini di reach, awareness e fiducia. In questo scenario, contributi come quelli di Kantar sono preziosi perché aiutano a fare chiarezza, portando dati e insight in un ambito, quello della comunicazione di marca, che resta sempre più complesso e sfaccettato”.