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Parliamo di creatività. Cosa le sta succedendo? Se è vero che nell’era dei dati e degli influencer il business sembra penalizzarla a favore di ‘ambiti’ più razionali del comunicare, siamo proprio certi che seguire l’ovvio sia la strada migliore? Senza voler banalizzare, non è il caso di porsi qualche domanda. Noi l’abbiamo fatto

Prendiamo spunto da questa lettera (ringraziamo Francesco Emiliani di avercela proposta). Era il 1947. Ci sembra che mai come oggi i suoi temi tornino attuali. Cosa sta succedendo alla creatività? Nell’era del dato, della misurazione, degli influencer, dei like, della video era, ce la stiamo lasciando per strada? Fate il vostro punto. La sensazione potrebbe essere quella che livellare i picchi sia la strategia, potendo poi contare sull’interscambiabilità che una certa standardizizzione consente. Tanto il business è oggi nelle mani di altro, dati, ricerche, media, analisi…

E voi, come la pensate? Ci interessa saperlo. E non solo perché alla porte c’è il Festival di Cannes.

scrivete a redazione@youmark.it

New York, 15 maggio 1947
:Miei cari, la nostra agenzia si sta ingrandendo. Di questo possiamo essere felici. Ma è anche una cosa di cui preoccuparsi. Non voglio dire che ci sia da dannarsi all’idea, ma mi preoccupa vedere che stiamo cadendo nella trappola della magniloquenza, che ormai adoriamo sempre più la tecnica e non i contenuti, che inseguiamo la storia invece di esserne artefici, che naufraghiamo nella superficialità invece di farci guidare da solidi principi. E mi preoccupa che cominci a inaridirsi la nostra vena creativaIn pubblicità ci sono un sacco di bravissimi tecnici. E purtroppo hanno vita facile. Conoscono tutte le regole. Ti dicono che un annuncio pubblicitario sarà più letto se mostra delle persone. Ti dicono quanto dovrebbe essere lunga o corta una frase. Ti dicono che il testo deve essere spezzettato per una lettura più scorrevole. Ti propongono una certezza dopo l’altra. Sono scienziati della pubblicità. Ma c’è un problema: la pubblicità è fondamentalmente un modo per convincere e convincere non è una scienza. È un‘arteÈ la nostra scintilla creativa, della quale sono così geloso e che adesso temo si stia perdendo. Non voglio specialisti. Non voglio scienziati. Non voglio gente che faccia la cosa giusta. Voglio gente che faccia cose ispirateNegli ultimi anni avrò fatto colloqui ad almeno un’ottantina di persone, tra copy e art. Molti tra loro erano considerati dei colossi nel nostro campo. È stato terribile scoprire quanto questa gente fosse poco creativa. Certo, di pubblicità ne sapevano. E dal punto di vista tecnico erano aggiornati. Ma se guardi sotto tutta quella tecnica cosa scopri? Conformismo, pigrizia mentale, idee mediocri. Eppure erano capaci di difendere qualunque annuncio per il solo fatto che obbediva alle regole della pubblicità. È come adorare un rituale invece di DioNon sto dicendo che la tecnica sia inutile. Una preparazione tecnica di alto livello ti rende migliore. Ma il pericolo è che la capacità tecnica venga scambiata per abilità creativa. Il pericolo è nella tentazione di assumere gente che usa metodi monotoni. Il pericolo è questa tendenza al prendere gente magari con grande esperienza ma che ci rende simili a tutti gli altriSe vogliamo crescere, dobbiamo farlo con una personalità che sia nostra. Dobbiamo sviluppare un approccio originale, invece di adottare il modo di fare pubblicità imposto dagli altri. Percorriamo nuovi sentieri. Proviamo al mondo che il buon gusto, l’arte, la bella scrittura possono dar vita a un buon modo di vendere. Con profondo rispetto, Bill Bernbach”.