Interviste

Aziende: un problema di leadership. Il 70% del coinvolgimento dipende dal capo. Che al Mkt fischino le orecchie

Entriamo nel merito. Siamo a Linkontro e a parlare è Paolo Grue, Ceo P&G, in uno degli interventi per noi più illuminanti di questa 40esima edizione: ‘il coraggio dell’eccellenza’. Ascoltate l’intervista, con una parentesi tutta per il marketing

Ma torniamo all’eccellenza. Oggi è la capacità di raggiungere il massimo rispetto a un contesto che cambia continuamente. Abbiamo detto addio a un futuro lineare, magari difficile ma prevedibile. Immaginate invece di avere a che fare con una matassa complessa, dove unica alternativa è provare a muovere i fili, guardando quello che succede. Quindi imparare a sbagliare, cadere e rialzarsi estrapolando dall’errore insight per ripartire. Come? Tutto sta nella cultura aziendale, ossia coscienza collettiva dell’impresa, aria che si respira.

La cultura si impara dai capi

Bene, ma leggete questi dati dello studio Gallup.  In media, nelle organizzazioni il 10% dei dipendenti sposa la cultura aziendale ed è coinvolto attivamente. Il 60% si adegua. Il 30% addirittura rema contro. Con l’Italia ad avere il più alto tasso di stress e il minore di coinvolgimento che, come anticipato, per il 70% dipende dal comportamento dei capi.

Come deve essere allora un capo oggi?

Vulnerabile. Che significa autorevole e competente al punto di ammettere anche l’errore, sapendo chiedere aiuto perché è autentico e si fida della propria organizzazione, con la quale crea un rapporto empatico, che muove i cuori non solo le teste.  Il tutto facendo perno sul coraggio, che  ammette la paura, ma permette di provare, lasciando agire in autonomia. Il controllo non paga più, a quel tipo di processi vanno sostituiti processi di autonomia, in cui pur sapendo che non è controllabile a priori l’esito, si sperimenta. Come? Non esiste una ricetta universale, ogni azienda è diversa, ma sono 3 le aree di lavoro

L’ossatura

La struttura organizzativa verticale per competenze non è funzionale. O meglio non risponde all’esigenza di interpretare il concetto di strategia (che oggi diventa capacità di cambiare strategia), non consentendo una visione d’insieme. Ragionando per silos succedono addirittura conflitti tra funzioni e poi (dati McKinsey) in questo tipo di organizzazioni il cambiamento diventa il 40% più difficile da attuare. Senza dimenticare quanto siano poco amate dai giovani talenti che pretendono realtà in cui venga capito e valorizzato il loro impatto, che garantiscano interazioni con chi decide e in cui i percorsi di carriera dipendano dalla capacità di restare rilevanti portando competenza, che è oggi capacità di continuare a imparare.

La contaminazione intergenerazionale

Mai sino ad ora si erano viste all’opera generazioni così diverse, complice la longevità, con l’aggravante che (a dirlo è sempre McKinsey) solo il 10% delle aziende sa gestire gli under 30. Cosa significa? Necessità di policy differenti per differenti bisogni.

Avere organizzazioni coraggiose

In primo luogo grazie alla fiducia, che deve essere data in partenza ed è fonte di autostima e responsabilità, forza di provare, sbagliare e riprovare. E poi creando sicurezza psicologica, ossia far percepire che se si dà il proprio meglio e si osa si è apprezzati, viceversa le persone tendono a proteggersi, quindi a sopravvivere, senza proporre, senza essere ingaggiate. Ma, come detto, solo un capo vulnerabile può creare fiducia e sicurezza psicologica.