WARC ha pubblicato ‘The Voice of the Marketer’, l’indagine annuale che raccoglie la visione di oltre mille marketer nel mondo. Il quadro che emerge per il 2026 è chiaro: pur prevedendo un miglioramento generale del business, i professionisti del marketing non si aspettano un corrispondente aumento dei budget.
Secondo il report, il 59% dei brand marketer ritiene che il prossimo anno sarà migliore del 2025, ma solo il 19% prevede investimenti in crescita. Il divario di quaranta punti percentuali tra fiducia nel mercato e possibilità di spesa continua a mettere il settore sotto pressione, alimentando la necessità di ottimizzare ogni investimento.

Questo squilibrio induce molti professionisti a privilegiare il performance marketing, indicato come priorità dal 42% di chi prevede tagli, mentre solo il 29% dichiara di voler continuare a puntare sulla costruzione di marca. Una scelta che, osserva WARC, rischia di alimentare il cosiddetto ‘short-termism’, già riconosciuto come un problema strutturale dal 55% dei marketer, trenta punti percentuali in più rispetto al 2022. Il rischio è quello di entrare nel ‘doom loop’, una spirale di metriche poco attendibili, sprechi di budget e rendimenti sempre più bassi.
Preoccupazioni per AI e incertezze economiche
Sul piano macroeconomico, il clima non aiuta. Il 61% degli intervistati esprime preoccupazione per l’impatto che le politiche commerciali statunitensi potrebbero avere sulle strategie del 2026. Le tensioni legate ai dazi e ai rapporti di scambio contribuiscono a rallentare gli investimenti, a generare incertezza nei piani di crescita, a comprimere i margini e, in alcuni casi, a frenare la domanda. I marketer nordamericani risultano i più esposti a queste dinamiche. Per gestire la volatilità, una parte dei professionisti sta adottando strumenti di scenario planning, mentre altri stanno rivedendo l’organizzazione interna per rendere i team più agili e capaci di reagire rapidamente alle variazioni del contesto.

Anche l’intelligenza artificiale rappresenta un punto di tensione crescente. Il 59% dei marketer teme l’impatto che l’AI potrebbe avere sul settore nel prossimo triennio, un dato più che raddoppiato rispetto al 2023, quando le preoccupazioni riguardavano solo il 28% degli intervistati. L’AI è ormai ampiamente integrata nelle attività quotidiane, soprattutto nell’analisi di grandi quantità di informazioni, nella lettura dei competitor e nella generazione di insight sui consumatori.
Tuttavia, cresce l’incertezza su come queste tecnologie influenzeranno i processi creativi, i flussi di lavoro e la composizione stessa dei team. Più di un terzo dei professionisti teme che alcune funzioni possano essere sostituite dall’AI. La preoccupazione è particolarmente forte tra i marketer delle agenzie, dove il 40% si sente minacciato, mentre i brand mostrano un atteggiamento più orientato a sfruttare le potenzialità dell’automazione per scalare più rapidamente ed efficientemente.

Il digitale domina la spesa pubblicitaria
Sul fronte media, la direzione è inequivocabile: il digitale continua a dominare. Secondo le proiezioni di WARC Media, il mercato pubblicitario globale raggiungerà 1,17 trilioni di dollari nel 2025, con il 90,3% degli investimenti concentrati sulle piattaforme online-only. L’attenzione rimane alta su video online, creator marketing e social media, che continuano a trainare la crescita. Il search advertising manterrà un ruolo centrale, con una spesa prevista di 274 miliardi di dollari nel 2026, anche se la sua espansione sarà più lenta a causa della frammentazione dei comportamenti di ricerca: sempre più utenti, infatti, si rivolgono a piattaforme come Amazon o TikTok per informarsi.
In questo scenario, WARC suggerisce ai marketer di andare oltre un approccio tradizionale alla SEO e di lavorare su una presenza più integrata, capace di valorizzare anche earned e owned media per rispondere alle logiche emergenti della ricerca basata su LLM. Tra i canali in crescita si conferma il retail media: un terzo dei marketer prevede di aumentare gli investimenti, mentre una quota stabile, pari al 28-29%, continua a non utilizzarlo affatto.