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Mercato digitale italiano a + 2,8% l’anno sino al 2021. Ma rimaniamo al di sotto delle potenzialità. Marco Gay: “Settore ICT strategico per le politiche dell’innovazione”

Questa mattina è stata presentata nella seda del Sole 24 Ore a Milano, il 50° Rapporto Anitec-Assinform, sulla crescita del mercato ICT italiano,

Prima, però, in apertura dei lavori, c’è stato un micidiale uno-due all’indirizzo della politica fiscale del Governo, o per lo meno di quella che si conosce, vista le continua modifiche in corso d’opera, l’ultima è di oggi che ha rimesso l’IVA al 22% dei prodotti femminili per il ciclo mestruale.

Per primo è intervenuto il Presidente del Sole, Edoardo Garrone, che nel suo saluto ha ricordato come le applicazioni delle tecnologie digitali cambino il modo stesso di fare impresa. E che serve un approccio nuovo per affrontare la trasformazioni digitale. Parlando della propria azienda, per fare un esempio, “è facile girare un valvola, è decisamente più complesso girare la testa alle persone” – ha affermato – descrivendo la trasformazione della sua impresa, che sta passando dal petrolio alle energie rinnovabili e alle applicazioni digitali per la loro gestione. “Nella manovra”, ha sottolineato Garrone, “mancano i nuovi incentivi al cambiamento, al di là delle tante microtasse presenti”. Dobbiamo ricordarci tutti che è il futuro sarà digitale, o non sarà”, ha concluso.

Ancora più esplicito è stato Marco Gay, Presidente di Anitec-Assinform, che, dopo aver riconosciuto l’impatto positivo che l’applicazione della Impresa 4.0 ha avuto sul comparto, ha ricordato le incongruenza dei una crescita del settore, a fronte della stagnazione dell’Italia nel suo complesso. L’industria ICT aumenta a 76 miliardi di Euro, mentre gli addetti sono passati in tre anni da circa 480.000 a oltre 512.000 unità, ha ricordato, evidenziando però i limiti della situazione attuale: dimensionali (il 59% degli investimenti sono realizzati dalla grandi imprese mentre solo il 2% delle azienda ad alta digitalizzazione a una piccola impresa) e legate alla formazioni (mancano almeno 12.000 laureati).

Sul fronte dell’innovazione diffusa molto resta però da fare. Fatto 100 il solo mercato business, il 2018 ha visto le grandi imprese (oltre 250 addetti) esprimere ben il 58,7% degli investimenti ICT, contro il 18,7% delle medie (50-249 addetti) e solo il 22,6% delle piccole (1-49 addetti), che hanno un peso in termini di occupazione e PIL proporzionalmente più elevato. Il quadro al 2021 lascia intravedere un’accentuazione dello scarto. “Per gli investimenti digitali sono previsti incrementi medi annui del 4,7% per le grandi imprese, del 3,8% nelle medie e del 2,1% nelle piccole”, ha precisato Gay, “e quest’ultimo dato è da correggere al rialzo con pragmatismo, con incentivi centrati non solo sulla bassa taglia dimensionale o la localizzazione, ma anche indirizzati ai progetti delle grandi aziende che puntano a integrare le piccole in ecosistemi collaborativi. Il ruolo guida dei capi filiera è fondamentale”.

“Se guardiamo all’AI, il vero terreno di scontro anche economico”, ha affermato, “negli Usa si stanno investendo 3,2 miliardi di dollari, e in Cina oltre sei miliardi. Anche in Europa siamo agli ultimi posti per investimenti. Nei prossimi anni in Francia si prevede di investire 1,5 miliardi e in Germania tre miliardi: basta fare un confronto per comprendere che siamo molto indietro”.
Gay ha inoltre caldeggiato un piano nazionale per tecnologie emergenti, prima tra tutti il quantum computing e appunto l’Artificial Intelligence, per non farsi trovare scoperti in futuro.
“Il Digitale è stato il change maker di questo decennio”, ha concluso Gay, “ed è stato anche la base dell’ultimo piano industriale che questa Paese ha visto”.

A seguire, la presentazione del Rapporto, curata da Giancarlo Capitani, Presidente di NetConsulting, ha invece evidenziato come saranno i prossimi tre anni per il mercato ICT, che nel suo insieme (comprensivo di informatica, telecomunicazioni, contenuti digitali ed elettronica di consumo) dovrebbe crescere nel periodo 2018-2021 a un tasso medio annuo composto (TCMA) del 2,8%, risultante da crescite del 2,5%, a 72.222 milioni di euro nel 2019, del 2,8%, a 74.254 milioni nel 2020 e del 3,1%, a 76.536 milioni nel 2021.
Sono previste dinamiche positive per tutti i macromparti in cui si articola il mercato, con la sola eccezione dei Servizi di Rete TLC (che evidenzia gli effetti di una forte pressione competitiva, ma che promette ripresa sulla spinta del 5G a partire dal 2022/23).

Il settore ICT in Italia continua a crescere, sia per numero di aziende, sia per occupati, confermando anche sotto questo profilo il suo valore strategico. A fine 2018 (Infocamere) il numero di imprese nel settore era di 112.340 contro le 107.900 del 2015, per una crescita media annua dell’1,4% (+1,6% nel 2018). Nello stesso periodo, gli addetti nel settore sono passati da poco più di 477.850 a più di 512.400, per una crescita media annua del 2,4% (+3,5% nel 2018).

Il numero di aziende mostra diverse dinamiche nei comparti. Il saldo positivo è determinato dalle aziende del Software e dei Servizi, grazie alla domanda di soluzioni a supporto delle strategie di digitalizzazione. Queste ultime hanno innescato una profonda trasformazione dell’offerta (sempre più influenzata dai Digital Enabler) e delle stesse aziende ICT: più reattive, aperte alle partnership, alla ricerca di competenze utili a calare le nuove tecnologie nel business dei clienti.

Il processo di concentrazione non ha visto accelerazioni, ma più qualità, e sembra smentire la “colonizzazione” del settore. Il grosso delle operazioni di M&A (dato 2017, ultimo disponibile) ha riguardato deal fra aziende italiane, acquirenti e acquisite. Le operazioni in cui aziende acquirenti estere hanno concluso operazioni in aziende target italiane non supera di molto quello dove aziende acquirenti italiane hanno concluso operazioni in aziende target estere.

Continua il fenomeno delle Startup Innovative: oltre diecimila nella primavera del 2019. Almeno la metà di esse è direttamente o indirettamente connessa con l’ICT. Ha contribuito una normativa più favorevole. Il fatto nuovo è però l’interesse delle grandi aziende. Talune di esse hanno varato politiche di Corporate Venture Capital, supportando acceleratori di Startup, con l’obiettivo di far crescere nel loro perimetro l’innovazione dirompente del settore di riferimento. La quota più elevata di Corporate Venture Capitalist (31%) è nei servizi non finanziari, con una prevalenza di aziende ICT che investono principalmente in Startup del software.
Si prevede che gli investimenti dei Venture Capital nelle Startup si incrementino, per effetto del contributo previsto a favore del Venture Capital nell’Innovation Act e nel Fondo dei Fondi inseriti nella legge di Bilancio 2019;visti anche per i buoni risultati già ottenuti.