“Il modo migliore per criticare un film è realizzarlo”. Così diceva Jean-Luc Godard, uno dei capostipiti della Nouvelle Vague, il movimento che, tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta, in Francia, cambiò il modo di fare cinema. A raccontare la storia di quei critici del Cahiers du Cinéma – Godard, Truffaut, Chabrol e molti altri – è stato però un americano, Richard Linklater, regista di film come Prima dell’Alba e Boyhood. Il suo film, si chiama proprio così, Nouvelle Vague, e racconta il dietro le quinte di Fino all’ultimo respiro (À bout de souffle), il film di Jean-Luc Godard del 1960 che definì il movimento francese. Presentato a Cannes, è passato ieri alla Festa del Cinema di Roma, e uscirà in Italia nei primi mesi del 2026. Linklater ha tenuto anche una Masterclass e ha ricevuto il premio alla carriera.
Tornare indietro nel tempo, al 1959
Nouvelle Vague è un film strepitoso. Richard Linklater ci riporta indietro nel tempo: gira un film su uno dei film capostipiti di quella “nuova ondata” del cinema francese e lo fa con i codici e lo stile del tempo. Il bianco e nero, la fotografia luminosa, il formato quadrato, in 4:3. È un’operazione filologica e coerente. “È stato strano tornare indietro nel tempo” ci ha raccontato. “Volevo che fosse come se avessimo trovato questo film in un archivio del 1959, un film girato non da Godard, ma da qualcuno che avesse fatto un film mentre lui girava in quel momento culturale. È come se fossi tornato indietro nel 1959 e fossi uscito con questa gente. Giovani cineasti che avevano rispetto per i vecchi. C’è anche una grande scena con Rossellini”. Roberto Rossellini è acclamato da Godard e dagli altri come il padre della Nouvelle Vague. “Il cinema è una questione morale” lo sentiamo dire nel film. Non c’è una tecnica per catturare la realtà. Solo la morale può riuscirci. Si dovrebbe filmare solo in condizioni di esigenza”.
Un modello per il cinema indipendente
Il risultato è un film sincero, onesto, appassionato. Che ha la freschezza e la potenza dei film dell’epoca, pur essendo, ovviamente, molto più costruito e studiato. È un film che riesce a cogliere lo zeitgeist, lo spirito di quel tempo e di quei film, e a farceli arrivare in modo immediato. E, cosa che non guasta e non è scontata, anche in maniera irresistibilmente divertente. Sembra davvero un film girato all’epoca. Ma, se lo guardi sapendo che è un film di Linklater, allora capisci che tutto torna. Che il suo approccio al cinema, in fondo, arriva da lì. “Negli anni Ottanta guardavo i nuovi film di Godard e Truffaut” ha raccontato. “Corrispondevano alla mia idea di cinema: non grandi film commerciali ma un’espressione personale. La Nouvelle Vague ha abbassato l’asticella del cinema: potevi fare un film su quello che ti passava per la testa, i tuoi amici, i tuoi amori. Quei film hanno rappresentato un modello di cinema indipendente che arriva fino a oggi. Siamo sempre in relazione con quell’epoca perché ha rappresentato un cambio: l’idea che i film non fossero prodotti di rapido consumo, ma forme d’arte”.
La Nouvelle Vague nel cinema di Linklater
E così, guardando questo film e poi parlando con Linklater, capiamo bene da dove venga il suo cinema. Abbiamo sempre detto che nel suo ci fosse molto Rohmer, e i suoi dialoghi filosofici sulla vita. C’è anche tanto Godard. Le lunghe camminate, la macchina da presa libera di muoversi e seguire i protagonisti. E gli attori che in qualche modo non sono solo i personaggi, ma mettono in scena anche un bel po’ di se stessi. Un esempio di questo cinema è la magnifica trilogia “Before”, Prima dell’alba, Prima del tramonto e Before Midnight. “È una trilogia venuta fuori per caso: non avevamo un piano” racconta l’autore. “Con Julie Delpy e Ethan Hawke abbiamo fatto il primo film, speciale per tutti noi: non è stato un successone, nessuno ci ha chiesto un sequel. Ma cinque anni dopo sono venuti a Austin, hanno fatto una scena e lì abbiamo cominciato a parlare, ci siamo detti: vediamo se abbiamo qualcosa da dire sull’avere 30 anni. Ma mi chiedo spesso se a qualcuno interessasse il progetto o se eravamo solo noi a pensarlo. Sono i personaggi che ci hanno chiesto di continuare”. In Prima dell’alba c’è proprio l’idea di Godard di portare la realtà e la vita dei registi e degli attori nel film. “È stata una mia esperienza” racconta l’autore. “Avevo trascorso un’intera notte con una persona che avevo incontrato. Qualunque produttore ti direbbe di no: nelle storie d’amore succedono tante cose. Ma perché non raccontare l’emozione di stare insieme un’intera notte? Julie e Ethan ci hanno messo molto del loro. Abbiamo fatto tante prove e io ho riscritto il film e aggiunto nuove idee. È così che trovi nuovi strati che si aggiungono alle storie. È la parte del lavoro con gli attori che mi piace tantissimo. Il film successivo lo abbiamo scritto insieme”.
Boyhood, un film lungo 12 anni
La Nouvelle Vague non è solo Godard. È anche Truffaut che ha fatto crescere, in vari film, il suo personaggio de I 400 colpi, Antoine Doinel, insieme al suo interprete, Jean-Pierre Léaud. È quello che è successo a Jesse e Celine nella trilogia Before, cresciuti insieme a Ethan Hawke e Julie Delpy lungo vent’anni e tre film. E ancora più “Nouvelle Vague” è Boyhood, un film la cui lavorazione è durata 12 anni e ha visto crescere un bambino, Ellar Coltrane, dall’inizio della scuola fino all’università. “Volevo raccontare cosa significa crescere” racconta il regista. “I migliori film sull’infanzia riguardano un periodo breve di tempo, non puoi dire a un bambino di 6 anni di diventare uno di 9: non avrebbe funzionato. Poi mi è venuta l’idea. Che poteva risolvere il mio problema di narrazione… ma me ne ha provocato un altro, il fatto che ci sarebbero voluti 12 anni. È un film che cercava di catturare le minuzie, i dettagli, non è sulle cose come il primo bacio, la perdita della verginità. Ho ripensato alla mia vita, alle cose con cui mi volevo divertire. E sapevo dove sarei arrivato”.
Tirare fuori il film dal mondo reale
C’è un momento, in Nouvelle Vague di Linklater, in cui la segretaria di edizione avvisa Godard che in scena c’è una tazza che nell’inquadratura prima non c’era, e propone di toglierla per la continuità. Ma lui si rifiuta, perché vuole la realtà, il luogo in cui sta girando così com’è. “Una delle cose da regista, quando fai il tuo primo film, è la continuità, creare l’ambiente perfetto per l’osservatore, non fare errori” riflette Linklater. “Godard era ossessionato da tirare fuori un film dal mondo come lo aveva trovato lui, dal mondo reale. Voleva rompere le regole: se devi fare un film differente, devi farlo così. Da una scena all’altra gli attori cambiano i vestiti, ma nel montaggio del film non lo noti. Ma io non suggerisco ai registi di cercare l’imperfezione”.
Oggi sono tutti più distratti
La Nouvelle Vague ha dato via a un nuovo modo di fare film. In America il cinema indipendente è fiorito negli anni Novanta. E Linklater è stato uno degli autori simbolo di questa ondata. “Non credo che le cose siano cambiate più di tanto negli ultimi 65 anni nel cinema indipendente” spiega. “Quella che è cambiata è la distribuzione. Forse oggi è più facile fare i film. Ma è diventato più difficile fare parte della cultura. È più difficile, anche per un romanziere e una band, farsi notare. È un mondo diverso, perché sono tutti più distratti. Io ho girato il primo film, Slacker, nel 1991, senza soldi, ma è uscito ed è stato parte di un movimento culturale. Mi sento fortunato. Odio dirlo ai giovani registi, ma dico spesso loro: ‘sarebbe stato meglio che tu fossi nato 30 anni fa’”. A proposito di cose da dire, Godard era uno che parlava per citazioni, e anche questo rende il nuovo film divertente. “La mia preferita è quando viene accusato di aver rubato delle immagini, di plagiare” ci svela Linklater. “Godard risponde: ‘Non è importante da dove prendo le cose, ma dove le porto’”.
di Maurizio Ermisino