Il 2025 si è aperto all’insegna del dinamismo, con professionisti e professioniste intervistati in Italia alla ricerca di nuove opportunità lavorative: ma a fronte di un numero crescente di candidature, più di 6 hiring manager su 10 (65%) faticano a trovare profili con le giuste qualifiche, sostenendo che sia diventato più complesso rispetto all’anno appena trascorso.
I tradizionali metodi di selezione non bastano più
Le sfide principali nella selezione dei candidati includono la difficoltà nel reperire profili con le qualifiche tecniche necessarie – le cosiddette hard skill – come dichiara quasi la metà degli intervistati (45%) ma soprattutto il dover scremare un numero elevato di candidature non idonee (48%). In questo senso, l’applicazione ai processi di selezione della tecnologia e dell’intelligenza artificiale sta emergendo come un elemento chiave per semplificare il processo.
Il 64% degli hiring manager riconosce che l’AI aiuta a individuare più facilmente i profili idonei, inclusi alcuni che altrimenti sarebbero stati trascurati (59%). Inoltre, il 63% ritiene che questa tecnologia renda l’iter di selezione più veloce e il 65% evidenzia come consenta di ottimizzare gli aspetti operativi nel flusso di lavoro, lasciando più spazio ad attività strategiche, come la negoziazione e il dialogo con i candidati. L’AI si dimostra anche utile nel migliorare le descrizioni delle offerte, in ottica di talent attraction (66%) e, in generale, porta a una riduzione dei costi sull’intero iter, migliorandone l’efficienza (61%).
Il giusto match esiste, ma per trovarlo ci vuole tempo
L’incremento del numero di candidature – aumentate rispetto al 2024 secondo il 45% dei selezionatori – non si traduce però in un vantaggio per chi ha il compito di assumere. Il punto è la scarsa corrispondenza tra le competenze richieste e quelle che i candidati effettivamente posseggono: solo il 33% dei profili, in media, soddisfa tutti i requisiti. Mentre per il 43% degli hiring manager è indispensabile che un candidato possegga tutte o la maggior parte (80% o più) delle qualifiche richieste.
Ricevendo svariate application da parte di professionisti non qualificati per il ruolo, oltre 6 recruiter su 10 (63%) dichiarano di impiegare più tempo a cercare proattivamente profili idonei. Con il 43% degli intervistati che spende, in media, da 1 a 3 ore al giorno nell’esaminare i curricula ricevuti, non stupisce che molti di coloro che ‘applicano’ non ricevano poi riscontri. Un fatto che è fonte di frustrazione per chi si propone ma anche per i recruiter stessi: secondo il 69% dei selezionatori, infatti, ‘ghostare’ un candidato ha un impatto negativo sulla percezione dell’azienda da parte di quest’ultimo, oltreché sulla sua autostima, come dichiarato dal 68% degli intervistati. D’altro canto, il 67% dei recruiter afferma che avrebbe bisogno di più strumenti e risorse per migliorare l’esperienza dei candidati e rispondere a tutti in modo tempestivo.
Le aziende investono nell’upskilling
Le aziende stanno reagendo a queste sfide investendo nel consolidamento e ampliamento delle competenze dei propri dipendenti, con particolare attenzione – sempre secondo i recruiter intervistati – a tre aree principali: le soft skill (71%), le qualifiche legate alla sostenibilità ambientale (70%), il ricorso all’AI (63%).
Interessante notare come l’upskilling interno riguardi competenze ‘leggere’ e trasversali, come la capacità di relazionarsi, comunicare e risolvere possibili problemi. Un aspetto considerato di cruciale importanza per affrontare adeguatamente il mondo del lavoro e che però, a detta dei recruiter, non è particolarmente sviluppato tra i più giovani: il 70% degli HR manager sostiene, infatti, che molti neodiplomati e neolaureati manchino delle competenze trasversali necessarie, mentre il 41% afferma che soft skill come comunicazione e problem-solving siano tra le più difficili da trovare nei candidati, a ogni età.
“Trovare il candidato ideale per una posizione spesso è come cercare un ago in un pagliaio. Non sorprende, quindi, che le aziende stiano incontrando maggiori difficoltà nel reclutare i talenti di cui hanno bisogno. Garantire di selezionare i candidati giusti, con le competenze adeguate, sarà determinante per il successo aziendale negli anni a venire. È incoraggiante vedere le imprese prendere l’iniziativa per affrontare questi cambiamenti – che si tratti di investire in strumenti di selezione basati sull’intelligenza artificiale per ottimizzare il processo di reclutamento o di dare priorità a programmi di sviluppo e formazione. Infatti, il ruolo delle risorse umane sta cambiando: il 70% degli HR manager segnala un ampliamento delle proprie responsabilità strategiche come team, tra cui la mobilità interna e lo sviluppo dei talenti”, ha commentato in una nota Moreno Ferrario, Head of LTS Enterprise di LinkedIn Italia.
Cosa chiedono i professionisti in cerca di nuove opportunità
Dall’altro lato della medaglia, le principali richieste che emergono da parte dei candidati – secondo gli HR manager – riguardano in primo luogo la retribuzione e i benefit (38%), la flessibilità e la possibilità di lavorare da remoto (37%) e, infine, un miglior equilibrio tra vita privata e professionale (36%). Il recruiting è un processo sempre più complesso, in cui l’esperienza dei candidati, l’adozione di nuove tecnologie e l’upskilling contano sempre di più per attrarre e trattenere i talenti. In questo senso, gli esperti HR segnalano alcuni dei trend più significativi già in atto:
- ricerca da parte dei professionisti di ruoli che permettano di sviluppare competenze diversificate, secondo il 71%;
- importanza di assumere in base al potenziale e all’adattabilità della persona, con le qualifiche tradizionali come il percorso di studi che diventano meno rilevanti, a detta del 71%;
- tendenza da parte dei candidati ad allontanarsi da percorsi di carriera lineari e prestabiliti, secondo il 67%.