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Le sfide del recruiting in Italia: candidati in aumento, ma sempre meno idonei

A rivelarlo una nuova indagine che ha coinvolto direttamente i recruiter, su scala globale e italiana, condotta da LinkedIn. In Italia, trovare il giusto match non è cosa semplice, sostengono gli HR manager, in particolar modo quelli che si occupano della selezione per le grandi aziende.
Moreno Ferrario, Head of LTS Enterprise LinkedIn Italia
Moreno Ferrario, Head of LTS Enterprise LinkedIn Italia

Il 2025 si è aperto all’insegna del dinamismo, con professionisti e professioniste intervistati in Italia alla ricerca di nuove opportunità lavorative: ma a fronte di un numero crescente di candidature, più di 6 hiring manager su 10 (65%) faticano a trovare profili con le giuste qualifiche, sostenendo che sia diventato più complesso rispetto all’anno appena trascorso.

I tradizionali metodi di selezione non bastano più

Le sfide principali nella selezione dei candidati includono la difficoltà nel reperire profili con le qualifiche tecniche necessarie – le cosiddette hard skill – come dichiara quasi la metà degli intervistati (45%) ma soprattutto il dover scremare un numero elevato di candidature non idonee (48%). In questo senso, l’applicazione ai processi di selezione della tecnologia e dell’intelligenza artificiale sta emergendo come un elemento chiave per semplificare il processo.

Il 64% degli hiring manager riconosce che l’AI aiuta a individuare più facilmente i profili idonei, inclusi alcuni che altrimenti sarebbero stati trascurati (59%). Inoltre, il 63% ritiene che questa tecnologia renda l’iter di selezione più veloce e il 65% evidenzia come consenta di ottimizzare gli aspetti operativi nel flusso di lavoro, lasciando più spazio ad attività strategiche, come la negoziazione e il dialogo con i candidati. L’AI si dimostra anche utile nel migliorare le descrizioni delle offerte, in ottica di talent attraction (66%) e, in generale, porta a una riduzione dei costi sull’intero iter, migliorandone l’efficienza (61%).

Il giusto match esiste, ma per trovarlo ci vuole tempo

L’incremento del numero di candidature – aumentate rispetto al 2024 secondo il 45% dei selezionatori – non si traduce però in un vantaggio per chi ha il compito di assumere. Il punto è la scarsa corrispondenza tra le competenze richieste e quelle che i candidati effettivamente posseggono: solo il 33% dei profili, in media, soddisfa tutti i requisiti. Mentre per il 43% degli hiring manager è indispensabile che un candidato possegga tutte o la maggior parte (80% o più) delle qualifiche richieste.

Ricevendo svariate application da parte di professionisti non qualificati per il ruolo, oltre 6 recruiter su 10 (63%) dichiarano di impiegare più tempo a cercare proattivamente profili idonei. Con il 43% degli intervistati che spende, in media, da 1 a 3 ore al giorno nell’esaminare i curricula ricevuti, non stupisce che molti di coloro che ‘applicano’ non ricevano poi riscontri. Un fatto che è fonte di frustrazione per chi si propone ma anche per i recruiter stessi: secondo il 69% dei selezionatori, infatti, ‘ghostare’ un candidato ha un impatto negativo sulla percezione dell’azienda da parte di quest’ultimo, oltreché sulla sua autostima, come dichiarato dal 68% degli intervistati. D’altro canto, il 67% dei recruiter afferma che avrebbe bisogno di più strumenti e risorse per migliorare l’esperienza dei candidati e rispondere a tutti in modo tempestivo.

infografica linkedin

Le aziende investono nell’upskilling

Le aziende stanno reagendo a queste sfide investendo nel consolidamento e ampliamento delle competenze dei propri dipendenti, con particolare attenzione – sempre secondo i recruiter intervistati – a tre aree principali: le soft skill (71%), le qualifiche legate alla sostenibilità ambientale (70%), il ricorso all’AI (63%).

Interessante notare come l’upskilling interno riguardi competenze ‘leggere’ e trasversali, come la capacità di relazionarsi, comunicare e risolvere possibili problemi. Un aspetto considerato di cruciale importanza per affrontare adeguatamente il mondo del lavoro e che però, a detta dei recruiter, non è particolarmente sviluppato tra i più giovani: il 70% degli HR manager sostiene, infatti, che molti neodiplomati e neolaureati manchino delle competenze trasversali necessarie, mentre il 41% afferma che soft skill come comunicazione e problem-solving siano tra le più difficili da trovare nei candidati, a ogni età.

“Trovare il candidato ideale per una posizione spesso è come cercare un ago in un pagliaio. Non sorprende, quindi, che le aziende stiano incontrando maggiori difficoltà nel reclutare i talenti di cui hanno bisogno. Garantire di selezionare i candidati giusti, con le competenze adeguate, sarà determinante per il successo aziendale negli anni a venire. È incoraggiante vedere le imprese prendere l’iniziativa per affrontare questi cambiamenti – che si tratti di investire in strumenti di selezione basati sull’intelligenza artificiale per ottimizzare il processo di reclutamento o di dare priorità a programmi di sviluppo e formazione. Infatti, il ruolo delle risorse umane sta cambiando: il 70% degli HR manager segnala un ampliamento delle proprie responsabilità strategiche come team, tra cui la mobilità interna e lo sviluppo dei talenti”, ha commentato in una nota Moreno Ferrario, Head of LTS Enterprise di LinkedIn Italia.

Cosa chiedono i professionisti in cerca di nuove opportunità

Dall’altro lato della medaglia, le principali richieste che emergono da parte dei candidati – secondo gli HR manager – riguardano in primo luogo la retribuzione e i benefit (38%), la flessibilità e la possibilità di lavorare da remoto (37%) e, infine, un miglior equilibrio tra vita privata e professionale (36%).  Il recruiting è un processo sempre più complesso, in cui l’esperienza dei candidati, l’adozione di nuove tecnologie e l’upskilling contano sempre di più per attrarre e trattenere i talenti. In questo senso, gli esperti HR segnalano alcuni dei trend più significativi già in atto:

  • ricerca da parte dei professionisti di ruoli che permettano di sviluppare competenze diversificate, secondo il 71%;
  • importanza di assumere in base al potenziale e all’adattabilità della persona, con le qualifiche tradizionali come il percorso di studi che diventano meno rilevanti, a detta del 71%;
  • tendenza da parte dei candidati ad allontanarsi da percorsi di carriera lineari e prestabiliti, secondo il 67%.