Entertainment

La piccola Amélie: un film, una mostra e un luogo per immergersi nella cultura del Giappone

In arrivo al cinema il 1° gennaio 2026, il film d’animazione racconta la prima infanzia attraverso lo sguardo poetico e curioso di una bambina di tre anni. Ispirato al romanzo di Amélie Nothomb, unisce Oriente e Occidente e trasporta lo spettatore in un viaggio emotivo e sensoriale

Una delle cose per cui il cinema è una cosa meravigliosa è che ti dà la possibilità di viaggiare. E così, se di recente vi abbiamo raccontato come sia stato bellissimo conoscere la Corea con Un inverno in Corea, un film ancora nelle sale, oggi vi raccontiamo un’ottima possibilità di scoprire il Giappone. L’occasione è l’uscita al cinema, dal 1 gennaio 2026 de La piccola Amélie (il titolo originale è Amélie ou la métaphysique des tubes), un film d’animazione diretto da Liane-Cho Han Jin Kuang e Mailys Vallade, tratto dal romanzo bestseller Metafisica dei tubi di Amélie Nothomb. Come per Un inverno in Corea, anche questo film è un incontro tra Oriente e Occidente. Il film ha vinto il Premio del pubblico all’Annecy International Animation Film Festival e del Premio per il miglior film europeo al San Sebastián Film Festival, è stato presentato al Festival di Cannes e ha ottenuto una menzione speciale ad Alice.  Sarà distribuito in Italia da Lucky Red. È un piccolo grande film, che ha dimostrato anche come si può ideare un’ottima strategia di lancio. Lucky Red e l’ufficio stampa Giampaglia e Locurcio ci hanno invitato a visitare i giardini del sorprendente Istituto Giapponese di Cultura, in via Antonio Gramsci 74 a Roma, e l’interessante mostra Iconico Cibo (Settant’anni di food poster in Giappone), aperta fino al 13 febbraio 2026. Oltre al film, i giardini e la mostra sono due occasioni da non perdere per chi ama il Giappone o chi vuole scoprire il mondo.

Un magico viaggio nella prima infanzia

La piccola Amélie è un viaggio nella magica dimensione della prima infanzia raccontata attraverso lo sguardo innocente, poetico e profondamente attento di una bambina di tre anni che si muove tra due mondi, tra due culture, con dolcezza, determinazione, paura, stupore e un pizzico di insolenza. All’età di due anni, il mondo per Amélie è un mistero, ma la scoperta del cioccolato bianco accende i colori di ciò che la circonda e nasce in lei una sfrenata curiosità verso le persone che riempiono le sue giornate, a partire da Nishio-san, la sua tata. Grazie al profondo legame che si instaura tra le due, Amélie inizia a scoprire le meraviglie dell’universo…

Il flusso di coscienza

È qualcosa di speciale, e mai visto prima, La piccola Amélie. Perché, grazie all’immaginazione della scrittrice e alle possibilità dell’animazione, abbiamo la possibilità di scoprire emozioni e sensazioni dei primi di anni di vita di una bambina attraverso il suo stesso racconto, cosa che con la narrazione e il cinema di finzione classico sarebbe impossibile fare. Dal “flusso di coscienza”, dal monologo interiore di quella bambina di due anni scopriamo un mondo che ricordiamo a malapena, essendo per noi un’età lontana e in cui i ricordi sono sfumati, o che abbiamo vissuto, ma solo dall’esterno, vivendo quell’età insieme ai nostri figli.

Un’animazione larger than life

Un’animazione stilizzata e semplicissima, e molto efficace, è uno dei punti di forza del film. Una sequenza di immagini fatta di campiture piatte, colori tenui ma vividi, omogenei. Non c’è nessuna ricerca del fotorealismo dell’animazione di oggi, ma un tratto semplice e ben definito, un disegno che ha una sua personalità. E che è capace, in dei momenti ben precisi, di avvolgere i corpi e i luoghi in un’aura dorata. In un racconto come questo, la luce fa la differenza, come quella del mattino che avvolge un tipico giardino giapponese. Quella de La piccola Amelie è un’animazione che non rimane statica, ma trascende le leggi, va oltre i limiti dell’immagine definita per creare dei quadri che sono “larger than life”. Così le carpe assumono un volto umano. E la guerra, che l’amata tata giapponese spiega ad Amelie, è sublimata attraverso le immagini della preparazione di una ricetta. È un modo semplice, sereno, per raccontare ai bambini la morte.

La scoperta della vita

La piccola Amelie è il racconto della scoperta della vita, del mondo, dello stupore. Della prima volta di ogni cosa, raccontato con una lucidità e una semplicità disarmanti. È il tentativo di racchiudere il senso della vita in un film. Come aveva fatto un film agli antipodi di questo, per impianto e ambizioni, come The Tree Of Life di Terrence Malick. Qui si prova a racchiudere la vita in 80 minuti di film, come Amelie, sulla spiaggia, prova a racchiudere la magia – l’aria, il sole, i profumi – di una giornata al mare per chi non è potuto esserci, in quella che è un’altra sequenza geniale e poetica.

Il giardino dell’Istituto Giapponese di Cultura

Dopo aver visto il film, vi verrà voglia di passeggiare in un giardino giapponese. All’Istituto Giapponese di Cultura, in via Antonio Gramsci 74 a Roma, è possibile farlo ogni giovedì e venerdì, pomeriggio, con prenotazione su Eventbrite. Il consiglio è visitarlo in primavera, quando sarà il periodo delle fioriture. Ogni giardino giapponese è qualcosa di molto particolare, perché tende a ricostruire in piccolo, qualcosa del tipico paesaggio giapponese. È creato con la tecnica dello shakkei – che vuol dire prendere in prestito un paesaggio vivente – che si esprime quando il giardino si apre a comprendere il paesaggio esterno, che in questo caso è la Pineta di Villa Borghese e Monte Mario. In Giappone molti giardini hanno questo shakkei su elementi del paesaggio, come le montagne sacre. Il giardino giapponese va inteso come opera architettonica e ha un suo interesse anche al di là della fioritura delle piante, come il glicine, ma, ovviamente, vederle fiorite ha un effetto scenografico d’impatto. Si sviluppa intorno a un laghetto, dove ci sono delle carpe Koi, che ritornano spesso nella cultura giapponese, nei dipinti e nelle sculture. Il 5 maggio, il giorno del Kodomo no hi, la festa dei bambini, si appendono fuori dagli edifici le maniche del vento a forma di carpe: la carpa Koi simboleggia la tenacia e serve per augurare ai bambini di raggiungere tutti i loro obiettivi nella vita.

La mostra Iconico Cibo: 70 anni di food poster in Giappone

È da non perdere anche la mostra Iconico Cibo: settant’anni di food poster in Giappone, visitabile, a ingresso libero fino ad esaurimento posti, fino al 13 febbraio 2026, all’Istituto Giapponese di Cultura. Da vedere per chi ama la cultura e la grafica giapponese, e anche per chi ama l’advertising, perché di fatto è di questo che si parla. Pubblicità e opere d’arte allo stesso tempo, creati dai più grandi designer e illustratori giapponesi, i poster pubblicizzano prodotti e brand ma trasmettono anche un messaggio e spesso hanno un filo rosso con la tradizione giapponese. Due immagini di un pomodoro fatto dallo stesso designer, Asaba Katsumi, a 15 anni di distanza sono molto diverse: una, per la pubblicità della Kewpie Mayonnaise, è molto realistica, ripresa da vicino, per sottolineare la freschezza dell’ortaggio, e seguendo la tendenza (erano i primi anni Settanta) dell’iperrealismo in pittura. 15 anni dopo l’artista realizza un altro pomodoro, per l’International Academy, contornandolo però con delle pennellate d’inchiostro, che in questo caso si rifanno alla cultura giapponese, alla calligrafia e alla pittura a inchiostro, la Sumi-e. È molto interessante anche una pubblicità della Dole di Sano Kenjiro del 2002, legata a una banana: la forma del frutto è utilizzata in modo di riprendere la famosa icona dello “smile”. Ma la banana ci parla anche di Andy Warhol, e della storica copertina dell’album dei Velvet Underground: per come ha unito arte e advertising è un po’ il nume tutelare di molti dei lavori di questa mostra. Degna di nota anche il poster di Tanaami Keiichi che assembla elementi dell’immaginario giapponese andando a “rubare” una grammatica figurativa di Varvara Stepanova, artista del movimento del costruttivismo russo degli anni Venti, e il tipico uso delle stelle. Un manifesto è anche legato a una mostra di un artista di casa nostra, Munari, in cui vengono usate le sue forchette parlanti. In altri poster delle posate o dei filoni di pane vengono usati per un messaggio antimilitarista. C’è anche una campagna pubblicitaria dello stilista Issey Miyake, Pleats Please, creata da Satoh Taku. Issey Miyake aveva lanciato una linea di tessuti: nella campagna il tessuto è utilizzato e rielaborato graficamente per ricreare un pezzo di sushi. “Flavor Of Heroine” di Asaba Katsumi è una pubblicità di una bibita Suntory del 1980 che riprende un manga legato al baseball. I manga sono una forma di intrattenimento popolare, ma in Giappone sono opere d’arte, con storie adulte considerate letteratura. Ma, andando indietro nel tempo, anche il grande Hokusai fece i suoi Hokusai manga. Vediamo le pubblicità della birra Asahi, di Nagai Kazumasa, con una serie di tappi con il sol levante, simbolo del Giappone. Andy Warhol ritorna in una pubblicità di Fukuda Shigeo, che riprende L’ultima cena di Leonardo da Vinci, che a sua volta era stata ripresa dall’autore della pop art, reinterpretata per promuovere una mostra di design, e proposta con un effetto “puntinato” dell’immagine, che a sua volta rimanda a un altro artista pop art come Roy Lichtenstein. Come avrete capito, amanti del Giappone, dell’animazione e della grafica, tra il film, il giardino e la mostra c’è davvero molto da vedere.

di Maurizio Ermisino