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LA GRANDE DISTANZA. Pasquale Romano, ad Unusual Communications: quella più pericolosa è sulle competenze. E non è detto che ad averne di più siano sempre le agenzie. E’ un fatto, comunque, che a livello medio l’asticella si sia spostata verso il basso. In ogni caso, provando a vestire il doppio ruolo di cliente e agenzia, si capisce molto

“Il pezzo ‘La grande distanza’ tratto dal post di Bartoletti è ricco di spunti interessanti. Sono convinto che chiunque si occupi di comunicazione abbia riscontrato  almeno una volta  che c’è una distanza enorme fra le parole dette all’inizio di un progetto e ciò che poi è il progetto finito.

Non vorrei parlare della distanza che esiste tra la richiesta del cliente e il budget disponibile, piuttosto della differenza tra i desideri del cliente in generale e il risultato finale.

La grande distanza esiste soprattutto quando il livello di preparazione degli interlocutori è differente. E non sempre i più preparati siamo noi agenzie.

In linea di massima ho la sensazione che il livello medio di tutti gli attori sia più basso che in passato, e questo può determinare da un lato la trasmissione di un brief poco adeguato e dall’altro la presentazione di un progetto non completamente in linea con le richieste. Se poi aggiungiamo che spesso i tempi concessi alle agenzie sono irrisori…

Però si può fare la differenza, anche in questi tempi di scarsissime risorse, con l’impegno, la passione, la serietà, la continua formazione, la voglia di continuare a fare questo mestiere anche con un po’ di allegria perché, a mio avviso, continua a essere un mestiere stimolante e divertente, senza lamentarsi della situazione contingente, consapevoli che sia sempre possibile individuare le soluzioni adatte per soddisfare i clienti.

Per questo trovo pertinente raccontarvi questa mia esperienza. Duplice. Perché in questi ultimi nove mesi mi ritrovo a essere contemporaneamente cliente (sono socio di una start up) e agenzia. Per evitare ‘conflitti di interesse’, in questa fase che precede il prossimo lancio dell’iniziativa, ho cercato di sentirmi solo agenzia.

Mi sono perciò ritrovato a dovere rispondere a richieste che sapevo benissimo non essere realizzabili visto che conoscevo perfettamente di quante risorse la società dispone. Però io stesso avrei voluto fare quelle richieste perché, almeno in teoria, erano quelle giuste. Il costo da sostenere per la loro realizzazione era ed è l’ostacolo.

Ho quindi cercato, insieme a i miei collaboratori di Unusual, soluzioni diverse che consentissero un buon livello di efficacia. Le ho argomentate con grande onestà ai miei soci ed ho ottenuto la loro approvazione.

Sono un ripiego o l’esplorazione di strade alternative? Propendo per la seconda ipotesi. Ecco, credo che condividere con i clienti il desiderio e l’opportunità di esplorare, evidenziando i rischi che questo comporta, sia una strada percorribile.

Siamo di fronte ad un grande cambiamento in continuo e frenetico divenire che obbliga agenzie e clienti a una nuova creatività strategica e a dimenticarsi degli schemi adottati fino ad oggi. 

E non è forse un grande stimolo specie per chi, come me, si occupa di comunicazione da quasi trent’anni? La comunicazione che in questi anni ha visto tagli immensi, è viva perché le aziende non possono, parafrasando Farinetti, ‘smettere di fare coccodè per avvertire quando hanno fatto l’uovo’.

Dobbiamo solo dire ‘coccodè’ in modi diversi”.