Interviste

Kevin Spacey all’Italian Global Series Festival, “I processi mi hanno permesso di fermarmi e valutare”

Kevin Spacey, Italian Global Series Festival 2025 - Day 5
Kevin Spacey - ph. by Daniele Venturelli/Getty Images for Italian Global Series Festival

Per tutti, Kevin Spacey è Frank Underwood, deputato e poi presidente degli Stati Uniti in House Of Cards, una delle grandi serie tv degli ultimi anni. È perfettamente logico vederlo in un posto come l’Italian Global Series Festival di Rimini e Riccione, dove ha ricevuto il Maximo Excellence Award e ha incontrato il pubblico. Finalmente può farlo, dopo essere stato assolto dalle accuse di molestie sessuali che lo hanno, di fatto, escluso per anni dallo show business. È curioso incontrare Kevin Spacey oggi, in un’era in cui l’attuale presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, va oltre ogni immaginazione e ogni sceneggiatura, facendo impallidire il suo Frank Underwood. “Probabilmente siamo stati più profetici di quello che immaginavamo, nei termini di come oggi la gente vede la politica” ha spiegato Spacey a una domanda specifica. Ma che consiglio potrebbe offrire oggi Frank Underwood al presidente Trump? “Come attore non ho niente da offrire al presidente” risponde la star. “Ma da ‘precedente presidente’ potrei dire: il potere ha solo a che fare con la percezione. E la percezione dura fino a che la gente te lo permette”. A proposito di House Of Cards, Spacey ha spiegato quanto è stato importante Shakespeare nella creazione del suo personaggio, e nell’idea di ‘sfondare la quarta parete’ e rivolgersi direttamente al pubblico.  “Prima di iniziare a girare House Of Cards sono stato 11 mesi in tour per interpretare Riccardo III a teatro” ha svelato. “Shakespeare ha inventato quello che chiamiamo il direct address, il discorso diretto. Non è Amleto che esclama ‘essere o non essere’ verso tutto il teatro. È quando Riccardo III guarda dritto negli occhi ognuno degli spettatori e crea un clima da cospirazione. Il pubblico pensa che lui sia molto figo. Ma ha ucciso dei bambini. E così noi spettatori ci rendiamo conto che siamo stati dalla sua parte. Quando in House Of Cards guardavo verso l’obiettivo pensavo a tutte quelle facce a teatro”. La grandezza di Spacey è proprio questa: essere credibile, autentico, in qualche modo empatico, anche in ruoli molto respingenti. “La cosa più importante per me è non giudicare il personaggio che interpreto, ma interpretarlo solamente” ci spiega. “Quando giudichi un personaggio non puoi più interpretarlo con onestà. Così metto da parte il giudizio ed entro nello spazio che mi permette di interpretare”.

I processi? Mi hanno permesso di fermarmi e valutare

Kevin Spacey due anni fa è stato infatti assolto dalle accuse di aggressione sessuale, atti osceni e induzione di una persona a partecipare ad atti sessuali, che gli erano state contestate e che avevano posto un brusco stop alla sua carriera. “Queste esperienze mi hanno permesso di fermarmi. Di valutare e rivalutare” ha risposto alla domanda di Marco Spagnoli, direttore artistico del festival. “E ascoltare. Ed essere moto grato per lavoro che sono stato capace di fare sullo schermo ma anche al di fuori. Sono pieno di gratitudine per chi, se non è stato al mio fianco dall’inizio, ha scelto di aspettare da come sarei uscito dai processi prima di decidere cosa pensava di me. Queste persone hanno la mia fiducia. Chi mi ha creduto colpevole ha il mio perdono, ma non lavorerà con me in futuro”. Per Kevin Spacey, una volta finita la tempesta giudiziaria, si è trattato di ricostruire la fiducia e di iniziare il secondo tempo della carriera. “Non mi sono mai fermato in realtà” fa notare l’attore. “Ho fatto molto lavoro per conto mio. Ho lavorato con Franco Nero. Sono tornato al lavoro perché ho fante storie che voglio raccontare. E perché ho ancora tanto da imparare”.

I soliti sospetti: avere la verità davanti e non coglierla

30 anni fa I soliti sospetti rivelava al mondo il talento di Kevin Spacey. “Sono molto orgoglioso di quel film” commenta. “Credo che parli del silenzio, del rimanere fermo, della forza del non detto. Del fatto che la verità sia davanti a te e tu non la colga”. Se due indizi fanno una prova, subito dopo è stato Seven a confermare il talento di Spacey. “Nel 1994 ero andato a un’audizione e non avevo avuto la parte di John Doe” svela l’attore. “La vigilia di Natale il telefono ha squillato, era il produttore: ‘Ricorda quel film, Seven? David Fincher ha licenziato l’attore oggi’. Era venerdì sera e dovevo andare sul set pochi giorni dopo. Sono andato a Los Angeles e abbiamo pensato al look del personaggio: David aveva creato ogni cosa, aveva pensato alle conseguenze delle azioni di Doe. Dovevo solo mostrarlo ed è quello che ho fatto”.

American Beauty: mi identificavo nelle emozioni di Lester Burnham

Pochi anni dopo American Beauty, un altro film memorabile, apriva il nuovo millennio. “È un film sulla graduale, lenta ribellione di un uomo che combatte contro il mantenimento della vita di ogni giorno, la vita moderna” commenta l’attore. “Mi identificavo con le emozioni e faccio lo stesso oggi, ogni giorno. La cosa che mi piace di più è quando le persone mi fermano e mi dicono che hanno visto se stesse in Lester Burnham. Il suo viaggio è fatto di humour e di decisioni inaspettate: molti vorrebbero essere capaci di prenderle”.

Il rischio? Recitare solo per mantenere un’immagine

I Soliti sospetti, Seven, American Beauty hanno regalato a Kevin Spacey la fama. Che cos’è per lui? “Quando ero giovane la fama era come una porta” risponde. “Se ci passavi oltre avevi l’opportunità di aprire altre porte, in stanze in cui altrimenti non ti era permesso entrare. Ma con il passare del tempo ho capito che è come uno specchio che riflette non solo quello che sei, ma quello che il pubblico pensa che tu sia. Ed è molto pericoloso. Perché il rischio è che cominci a recitare per quell’immagine piuttosto che fare il lavoro che per te è più importante. In questo momento della mia vita cerco di essere sicuro che quello specchio sia rivolto in questa direzione (rivolge la mano non verso di sé, ma verso la platea, ndr) perché il mio lavoro è rivolgerlo verso la vita, verso gli spettatori”.

Cercare le contraddizioni, la complessità

Cosa è la prima cosa che cerca in un personaggio? “Sono le contraddizioni, gli ostacoli, la complessità” risponde. “Prendiamo un famoso personaggio come Richard Nixon, che ho interpretato in Elvis & Nixon: hai molto materiale da leggere, libri che si contraddicono fra loro. Ma anche con un personaggio di finzione come Frank Underwood, un personaggio scritto, hai la responsabilità di provare a creare la sua intera backstory e portare in vita le sue contraddizioni”.

Lester Burnham, Verbal Kint, John Doe: è come se fossero persone vive

Kevin Spacey ha vinto molti premi, è stato in film rimasti nella storia. Ma l’aspetto che lo gratifica di più è legato proprio a quei personaggi. “Probabilmente la cosa che mi eccita di più è quando le persone vedono loro stesse in una performance” spiega. “Il miglior complimento è quando qualcuno mi parla di Lester Burnham o Verbal Kint o John Doe. È incredibile come il lavoro che sono stato in grado di fare sia stato così forte che ricordano il nome del personaggio, e si riferiscono a lui come a una persona viva. È il segnale che ho fatto il mio lavoro: perché non era focalizzato su di me, ma sul personaggio”.

Il teatro: un momento tra le mie battute e il vostro respiro che è elettrico

Spacey è passato spesso dal teatro al cinema c’è qualcosa che gli manca del teatro? “Tutti abbiamo bisogno di esperienze condivise” spiega. “In teatro c’è un momento tra le mie battute e il vostro respiro. Ed è elettrico. La differenza tra lavorare sul palcoscenico e al cinema è che la macchina da presa richiede una diversa onestà: sul palco impariamo a progettare, al cinema a rivelare”. Tra le sfide di Spacey ci sono stati anche 12 anni a Londra come direttore artistico dell’Old Vic Theatre, e la frequentazione di attori come Jeff Goldblum, Judi Dench e Peter O’Toole e star come Elton John.

Non scegliete la fama, scegliete la verità

Resta da capire se la riabilitazione di Kevin Spacey sarà completa, se tornerà in auge in grandi progetti, o se rimarrà comunque ai margini dello show business. A giudicare di come è stato accolto in Italia non ci sarebbero dubbi, ma l’America, si sa, è un’altra cosa, certe ombre a volte rimangono addosso. Marco Spagnoli chiede all’attore se girerà un film o una serie in Italia un giorno. E Spacey si è dimostrato possibilista. “Sono interessato alle storie di redenzione” ha risposto. “A silenzio e sopravvivenza. E allo spazio che esiste tra queste due parole”. Che consiglio darebbe a un giovane regista o a un giovane attore per farcela in un’industria che si dà per morta ormai da settant’anni? “Non scegliete la fama. Scegliete la verità” risponde. “Onorate e proteggete le vostre creazioni come se fossero oro, perché lo sono, perché sono sacre. Dovete lottare per questo. Oggi tutto ha a che fare con l’essere famosi ed essere su TikTok. Ma se vi concentrate sul lavoro, se vi fate guidare dal racconto, e rimanete in quel campo di gioco, sarete nel posto giusto”.

di Maurizio Ermisino