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Il nuovo linguaggio della moda: identità, fandom e community guidano lo stile

'Fanverse! – The Fashion Code' esplora come fandom e community stiano trasformando il rapporto tra persone e brand, nell’era in cui lo stile diventa espressione e non più imitazione
Fanverse - The Fashion Code

La moda sta attraversando una trasformazione profonda. Oggi non si è più fan della moda in sé, ma di ciò che essa permette di esprimere: identità, passioni e appartenenze diventano il vero motore delle scelte delle persone. Lo stile evolve in una piattaforma di espressione – personale e collettiva – che guida consumi, linguaggi culturali e relazioni con i brand.

È quanto emerge dalla seconda edizione di Fanverse!, l’osservatorio annuale di HELLO, che analizza come cambiano i comportamenti delle persone attraverso i fandom, ovvero community che si aggregano attorno a valori e interessi condivisi. Dopo aver esplorato l’anno scorso il mondo del food, il nuovo capitolo di quest’anno è dedicato a uno dei settori più rappresentativi dell’espressione personale, la moda. La ricerca ‘Fanverse! – The Fashion Code’ mostra come la relazione tra individui e brand sia sempre più fluida, partecipativa e costruita sui valori, e come questi gruppi stiano ridefinendo il modo in cui le community vivono la moda e interagiscono con i brand.

I risultati della ricerca sono stati discussi durante una tavola rotonda condotta da Francesco Iacobacci, Art Director Supervisor e Aziza Ibrahim, Research Insight Director di Hello alla quale hanno partecipato Andrea Corona – Ceo e Founder Propaganda, Chiara Viaggi e Giada Anforini – cofounder della community instagram Telotrovosu e Giuliana Matarrese, Fashion Editor at large Rivista Studio. Dal confronto è emerso un concetto fondamentale: la moda non è più un insieme di trend da seguire, ma una piattaforma in cui le persone costruiscono e comunicano la propria identità, riconoscendosi nelle community affini.

Dallo stile come imitazione al ‘fandom di stile’

Il cambiamento è netto: le persone non cercano più modelli da imitare, ma strumenti per esprimere sé stesse. Lo stile diventa un codice culturale, un linguaggio attraverso cui comunicare chi si è e riconoscersi in community affini. Così nasce il concetto di fandom di stile, dove i valori, le narrazioni e le pratiche condivise diventano più importanti di trend passeggeri o singole estetiche. La moda non è più solo estetica ma una forma di appartenenza culturale, una piattaforma di espressione non più solo personale ma collettiva. Il risultato è un evoluzione del concetto stesso di ‘fashion fan’: se un tempo parlavamo solo di ‘fashionisti’, oggi iniziamo a parlare di fandom di stile, in cui i fan da consumatori diventano creator e da spettatori diventano protagonisti culturali.

“Le community sono come cellule indipendenti, ciascuna con codici e valori propri”, spiega Andrea Corona. “Gli strumenti digitali permettono di connetterle in modo profondo, dando vita a reti di condivisione che vanno oltre la semplice influenza di un singolo creator”.

Come sottolineano Chiara Viaggi e Giada Anforini “Oggi i creator non impongono uno stile, ma propongono contenuti che permettono alla community di interpretare, mixare e costruire la propria identità. In ambito fashion, molti creator si concentrano sulla prima mano, bombardando il pubblico con stili già decisi: noi puntiamo su contenuti meno scontati, legati a capi second-hand o riferimenti culturali, per stimolare curiosità e autonomia creativa”.

I dati della ricerca Fanverse! confermano questa trasformazione: il 59% dei fan italiani considera la moda uno spazio di sperimentazione creativa, non un insieme di trend da seguire; il 71% acquista second-hand, cercando originalità e significato; il 77% non è fedele a nessun creator, preferendo contenuti autentici e ispiranti; il 60% sceglie brand impegnati eticamente e socialmente.

Il ruolo dei brand e dei magazine

In questo scenario, il ruolo dei brand cambia radicalmente. Non più generatori top-down di tendenze, ma facilitatori di espressione, in grado di leggere i codici delle community, valorizzarne le passioni e costruire esperienze culturali coerenti.

Anche i magazine svolgono una funzione ‘curatoriale e educativa’: “Rivista Studio agisce come un vero osservatorio – spiega Giuliana Matarrese – registra fenomeni emergenti, li collega e offre ai lettori prospettive laterali che li aiutano a interrogarsi e a comprendere meglio il contesto culturale della moda. In questo senso, i magazine non raccontano solo stili o tendenze, ma interpretano le dinamiche delle community, creando un ponte tra cultura, mercato e aspirazioni delle persone”.

Second-hand, cultura, curiosità

In questo contesto il second-hand diventa un terreno di esplorazione e scoperta. “Ogni capo racconta una storia – sottolineano Chiara e Giada – e permette alla community di osservare contesti e culture diverse, trasformando l’atto di vestire in una pratica consapevole e curiosa”. Non si tratta solo di sostenibilità: il second-hand offre continuità culturale e unicità stilistica, elementi che alimentano l’espressione personale e collettiva delle community.

Identità, coerenza culturale e storytelling

Oggi i fan della moda scelgono di appartenere a fandom estetici che sentono loro più affini, cercando strumenti per esprimere un’identità fluida e personale piuttosto che legarsi a un brand o a un designer specifico. Ma cosa rende queste community davvero solide e durature?

Secondo Andrea Corona la chiave sta nella coerenza e nell’identità culturale: “Mi sorprende vedere brand che fanno operazioni di appropriazione culturale, soprattutto della moda o di fenomeni del passato. La cultura non è qualcosa che si può indossare. Un capo può rappresentarti, certo, ma è fondamentale padroneggiare la propria piattaforma culturale, vivere profondamente la propria identità e trasmetterla attraverso il capo, non riceverla passivamente”.

Il capo diventa così un mezzo per raccontare sé stessi, con modalità diverse a seconda di chi lo indossa. Giuliana Matarrese sottolinea un altro aspetto critico: l’accessibilità. “Oggi la moda è diventata spesso esclusiva, a volte addirittura escludente. Gli atti che trasformano le parole di un brand in esperienze accessibili e condivisibili sono quelli che fanno davvero la differenza. Pensiamo a Lias, un creator che non è stato invitato a una sfilata di Dior e ha invece riunito la sua community in un bar di Parigi per commentarla insieme: questo genere di iniziative crea appartenenza e dialogo, anche senza essere fisicamente presenti all’evento”.

Chiara Viaggi e Giada Anforini evidenziano infine il ruolo dei creator come mediatori culturali: “Non si tratta solo di proporre il prodotto migliore, ma di raccontarne la storia, la produzione, l’ispirazione e il contesto culturale. Solo così la community può costruire la propria identità attraverso il capo, integrando conoscenza, consapevolezza e curiosità”.

Il messaggio comune emerso dalla tavola rotonda è chiaro: per costruire un legame duraturo con i fandom estetici, i brand devono andare oltre la semplice vendita di prodotti. Devono diventare facilitatori di esperienze culturali, raccontare storie, valorizzare tecnicismi, difetti, unicità e sottoculture, e permettere alle persone di sentirsi parte di un racconto condiviso. Solo così lo stile smette di essere un oggetto e diventa una piattaforma di espressione identitaria e collettiva.

Capire cosa vogliono le persone (soprattutto a Natale)

“Con l’arrivo della stagione degli acquisti natalizi, capire cosa vogliono le persone diventa ancora più rilevante: non cercano semplicemente nuovi capi, ma brand capaci di interpretare ciò che sono, ciò in cui credono e i mondi a cui appartengono. Il fandom di stile non è una tendenza effimera: è un nuovo modo di vivere la moda, partecipativo, valoriale e profondamente identitario, in cui le scelte estetiche diventano dichiarazioni culturali e strumenti di riconoscimento reciproco”, commenta Sara De Mattia, Managing Director di Hello. “Per i brand questo significa ripensare radicalmente il proprio ruolo: non più generatori di trend top-down, ma abilitatori di espressione, capaci di leggere i codici delle community, valorizzarne le passioni trasversali e costruire esperienze che parlino alla loro cultura – non solo al mercato. In un panorama in cui lo stile è il nuovo fandom, la rilevanza nasce dall’ascolto, dalla co-creazione e dalla capacità di entrare in dialogo autentico con le persone”.

Una nuova geografia della moda

Il lavoro di ricerca e interpretazione dei trend, curato dal team di Hello coordinato da Cristina Urban, Aziza Ibrahim e Francesco Iacobacci, mette in luce un panorama in cui le community definiscono le regole del gioco, i creator diventano curatori di vibe e i brand hanno l’opportunità di diventare catalizzatori di significato culturale, più che semplici venditori di prodotti. In questa nuova geografia della moda, lo stile non è più solo ciò che indossi: è ciò che racconti di te, di chi sei e dei mondi a cui appartieni.

Il team ha sviluppato l’impianto metodologico del paper, approfondendo dinamiche comportamentali, segnali culturali emergenti e insight provenienti dai fandom, integrando inoltre una selezione delle migliori case creative del settore che riflettono le trasformazioni in atto nel modo in cui le persone vivono la moda.

L’intera ricerca è disponibile a questo link.