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Il food è media. Di più, motore del cambiamento, tramite d’innovazione, nuova occasione di business, sapendo attrarre e soddisfare anche le pmi e non solo quelle dell’eccellenza alimentare. Senza dimenticare quanto per i big brand sia ormai importante lì padroneggiare. MEC e GroupM lanciano FoodFWD, ossia le linee guida per pianificare nel Foodscape. E anche il ‘fuori food’ ci va a nozze

Insomma, dimenticatevi di trattare il tema come da sempre eravate stati abituati. Oggi è tutta un’altra storia. Con la capacità del food non solo di rappresentare la seconda industria italiana (vale 130 miliardi, il 10% del Pil, + 2% rispetto al 2012, con l’export a crescere dell’8%, nonostante la bilancia commerciale resti negativa, dunque parli di ulteriore potenziale), ma anche di farsi social, stile di vita,  trend, alla stregua di design e moda, incurante della sovraesposizione, quantificata nelle oltre settanta trasmissioni tv (35 milioni di persone al mese), 25.000 blogger (in rete il food è insieme a sport e news uno degli argomenti più fruiti),  1000 siti, 110 testate dedicate. E probabilmente non siamo ancora arrivati alla saturazione.

Non a caso GroupM, in partnership con MEC, nell’ambito del progetto StepFWD , ha voluto dedicare al food un approfondimento specifico (la prossima sarà la volta del beauty) per dare alle aziende risposte certe per pianificare nel Foodscape, partendo dalla comprensione dei contesti nei quali operano brand e media, allargando alle leve di attivazione del consumatore, dunque  alla scelta dei touch point in funzione del ruolo che i medesimi hanno nel percorso d’acquisto.

Diversi gli ambiti di analisi. A partire dalla definizione dei driver dell’innovazione scoprendo, ad esempio che il 20% delle persone ha modificato il proprio modo di mangiare sulla base di quanto vede in tv, o su consiglio di chef e personaggi mediatici legati al tema. Dunque, che mezzi e comunicazione sono strategici per le aziende. Con tv, web eventi e personaggi a farla da padrone, ognuno rappresentando specificità e finalità differenti.

Come si dimostra, il foodscape è articolato, Dal ‘generalismo tradizionale’ (le trasmissioni della Clerici, ma anche le sagre di paese, per citare alcuni esempi), al ‘generalismo evoluto’ (la trasmissione  di Benedetta Parodi, ma anche la fiction Mediaset ‘benvenuti a tavola’), dalla ‘modernità alimentare’ (cibo mescolato a moda, ma anche il talent Masterchef) a ‘la frontiera’, con i key driver più innovativi (canali digitali come Giallo Zafferano, chef star alla Cracco, eventi, da quelli Slowfood alla Milano Food Week). Il che, tradotto in efficacia della comunicazione, significa necessità di integrare la baseline televisiva con interventi che virino nell’innovazione, dagli eventi al web.

Anche perché nel loro journey alimentare i consumatori (tra l’altro per il food si conia la nuova definizione di casalinga di Voghera reloaded, per sottolineare l’importanza del contenuto innovativo nel mix) utilizzano touch point e formati adv specifici. Ossia, 86% payed media (tv e motori di ricerca), 70% owned (siti, app, videoricette delle aziende, corsi di cucina, eventi a tema, ricette nelle etichette), 51% earnerd (passaparola, sia off che on line, siti, Food Instagram).

Ponendo pure l’accento sull’efficacia dei diversi formati in relazione all’obiettivo. Così, se lo spot crea buzz e porta alla prova il 36% dei consumatori, il product placement lavora nella fase del consideration per il 34%, mentre le telepromozioni spingono al trial il 29%. Evidenziando i dati interessanti complementarietà tra spot e placement.

Ne parliamo con Federica Setti, chief research officer GroupM, e Julian Pret, chief strategyst officer MEC.

[pdf]FoodFWD – grafici

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