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I giovani preferiscono il gaming, ma gli investitori pubblicitari non ancora. Potenzialità e rischi in un comparto alla vigilia dell’esplosione

Quello del gaming è un mondo con alcune contraddizioni di fondo, che ne impediscono il pieno sviluppo, per lo meno secondo le logiche degli investitori pubblicitari.

In particolare per quanto è relativo i consumatori più giovani, che rappresentano un merce rara sulle tv generaliste, soprattutto nei mercati sviluppati come gli USA, e che invece trascorrono sui videogiochi una quantità di tempo crescente, pari a centinaia di milioni di ore alla settimana su scala globale.

Ma attualmente si assiste a una bassa valorizzazione del contenuto pubblicitario trasmesso sugli schermi dei videogiochi. Sostanzialmente vi è a una divaricazione tra i giochi mobili, spesso gratuiti e di basso costo, e quelli premium, tipicamente su console, giocati sui grandi schermi di casa. Un terzo genere, in crescita attualmente, è quello delle piattaforme per il cloud gaming, tipo Apple Arcade o Google Stadia, di cui ci occuperemo più avanti.

Nel gaming mobile la pubblicità è molto presente, ma è per lo più del tipo direct response, distribuita in programmatic, al più basso prezzo disponibile. Non è questo il miglior modo per monetizzare i contenuti disponibili.

Sul lato premium, invece, sono molti i giochi che inseriscono annunci di alta qualità e di alto valore, ma poiché tali annunci sono fortemente personalizzati e integrati nei giochi stessi, è difficile costruire il tipo format adv ripetibile che rappresenta l’ideale per le pianificazioni massive delle agenzie media.

Eppure la cronaca evidenzia che i gamer accettano volentieri le pubblicità. Da un lato l’ascesa dei giochi free-to-play e la massiccia crescita e accettazione dei contenuti a pagamento, infatti, creano un ambiente favorevole all’approvazione da parte dei consumatori di una pubblicità che rispetti tre semplici regole: carico di annunci leggero, frequenza adeguata e contenuti pertinenti per i giocatori.

Dall’altra parte, iI giochi sono sempre più simili a programmi TV e film, in cui gli annunci sono una presenza scontata. Con l’alta definizione e la generazione di programmi di computer entertainment, gli spettacoli e i film assomigliano sempre più a giochi, e i giochi agli spettacoli e film. In questo contesto gli annunci pubblicitari non disturbano tanto quanto la gente potrebbe temere.

Ma per essere più simili alla pubblicità televisiva, nei giochi si devono standardizzare le unità pubblicitarie, come in TV. Ciò significa annunci video di 15 secondi e 30 secondi venduti su impressioni e distribuiti in funzione dei target. E inoltre servono misurazioni comparabili con quelle Tv: misurazione su panel (quindi con piena comparabilità e integrazione con la televisione) ma migliorate con l’aggiunta di comportamenti digitali, conteggi degli ad server, attribuzione digitale, ecc.

Sotto questo aspetto le piattaforme per il cloudgaming dovrebbero essere nella condizione migliore, unendo due delle caratteristiche più richieste degli investitori: conoscere chi è la persona raggiunta dalla pubblicità, e inserire la pubblicità più adatta al momento migliore.

Ma qui sorge una difficoltà non da poco. In teoria quanto il mondo parla dell’acquisto ‘olistico’ di annunci video, la realtà è ancora lontana questo traguardo. Gli acquirenti di pubblicità televisiva acquistano spazi sulla televisioni: il mercato pubblicitario dei videogiochi dovrebbe essere in grado di rispondere a questa domanda, con annunci potenzialmente integrati e simili a quelli delle TV lineari.

Ma il problema non è solo questo, Vi è anche quello relativo alla brand safety: i produttori e gli editori dei gaming premium, da giocare su grandi schermi per ore di fila, non dovrebbero accettare di programmare campagna ‘unsafe’.

E infine c’è la vendita in programmatic che dovrebbe essere evitata sui circuiti premium, perché abbassa il valore percepito dell’advertising. Se si imboccasse la strada già aperta dal mobile, insomma, la strada sarebbe invece già segnata: eccesso di offerta, taglio dei prezzi, lotta all’ultimo sangue sul ‘costo-contatto’.