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Gruppo Serviceplan: l’integrazione è da anni alla base della nostra cultura. La sfida a far lavorare insieme competenze diverse con un unico obiettivo, oggi più che mai strategica per le aziende, non ci ha colto impreparati

L’anno che si è appena chiuso e il nuovo che si apre nelle risposte di Giovanni Ghelardi, Partner e AD Gruppo Serviceplan Italia.

Partiamo dai dati. Per il 2016 gli investimenti, qualsiasi sia la fonte della rilevazione, parlano di almeno un 3% in più, con la rete a fare da regina, la tv a occupare la metà della torta, o quasi, la stampa ancora in crisi, specie la quotidiana. Come questa situazione si è riflessa sul vostro andamento? Insomma, diamo i numeri, i vostri, indicando le previsioni 2017

“Il Gruppo Serviceplan chiude il proprio anno fiscale a giugno, quindi per il momento posso dire che l’anno fiscale passato ha dato un risultato positivo e in crescita rispetto all’anno precedente e alle aspettative e con un fatturato che ha superato i dieci milioni, ben distribuito fra le varie attività: creatività, consulenza strategica sul digitale, media e produzione. Per quanto riguarda la televisione certamente gioca un ruolo molto importante, ma sempre più in un’ottica multicanale dove la cultura del digitale è sempre più centrale. L’anno che si è appena chiuso sembra confermare l’andamento positivo”.

Passando, invece, al qualitativo, in un contesto di comunicazione sempre più liquido, dove le specializzazioni hanno confini sempre più fluidi e indefiniti, siete soddisfatti di come siete riusciti a trasferire al mercato la vostra essenza e di quanto la conseguente differenziazione dal resto risulti premiante?

“L’integrazione è da anni alla base della cultura Serviceplan. Non a caso il nostro modello di lavoro in tutto il mondo è la “Casa della Comunicazione”: uno spazio che facilità la convivenza di diverse specializzazioni sotto uno stesso tetto. E di conseguenza la sfida a far lavorare insieme competenze diverse con un unico obiettivo, oggi più che mai strategica per le aziende, non ci ha colto impreparati. A Milano nella nostra Casa della Comunicazione interagiscono sei agenzie ognuna con una profonda e diversa competenza: creatività, digitale, media, brand design, packaging, produzione stampa, digitale e video. Tutto ciò guidato da dodici professionisti, partner associati, che gestiscono l’integrazione e guidano il progetto all’interno del gruppo per i propri clienti”.

In termini di innovazione. Di offerta, processo, servizio, creativa, organizzativa, cosa avete in serbo nel 2017?

“Da un lato Serviceplan in Italia è in una importante fase di rilancio creativo: da quando pochi mesi fa Oliver Palmer si è unito al Gruppo come Direttore Creativo Esecutivo, tutta la sua esperienza internazionale, energia e passione hanno alzato l’asticella di ciò che per noi significa avere idee che facciano veramente la differenza in tutte le fasi del progetto di comunicazione. Dall’altro, la ricerca di un approccio strategico che nasca sempre più dall’innovazione e dalla tecnologia e che sia sempre più legato ad una capacità di gestire strategicamente i dati, è il nostro focus quando parliamo di digitale e in generale di strategia”.

Difficile citare un cliente e progetto, ma dovendone scegliere uno realizzato nel 2016 a emblema della vostra visione, quale case history racconteresti e perché?

“Probabilmente uno dei casi più rappresentativi della nostra visione è Auchan: un importante cliente con il quale stiamo lavorando per integrare diverse attività ‘classiche’, fra le quali i volantini, che negli anni sono diventate un ‘modus operandi’ consolidato per tutto il comparto, con una visione sempre più digitale e quindi efficace in termini di personalizzazione del messaggio e utilizzo dei media. Ma anche l’ultima campagna realizzata per Pirelli a supporto della partnership di marca con Top Gear e che ci ha visti impegnati nella realizzazione ‘sostenibile’ di vari contenuti video per il web ad alto impatto creativo, mi sembra una buonissima dimostrazione di cosa vuol dire oggi fare videocomunicazione. Infine, anche il lancio di una marca completamente nuova come OPERA che garantisce le pere italiane di qualità, e che ha visto le strutture della Casa della Comunicazione lavorare in modo perfettamente sincronizzato nella realizzazione del logo, del packaging, del sito, della strategia di comunicazione e della creatività sui mezzi classici e su quelli digitali, e della strategia social, mi sembra un ‘buonissimissimo’ esempio di integrazione”.

Da un lato, la comunicazione ha bisogno di recuperare cultura e di trasferire, anche insegnandolo, il valore dell’autorialità, dall’altro di ricalarsi nella vita reale andando a conoscere lì le persone, quando si esprimono nel loro modo più vero. Si tratta di facce della stessa medaglia o di dicotomia inconciliabile? Ossia, è possibile alzare l’asticella qualitativa coinvolgendo la gente, abituando al bello, dirigendo il ‘senso di cool, il gusto collettivo’, assumendosi dunque la responsabilità e l’onore di poterlo fare, anche nei confronti delle aziende clienti? 

“Dal mio punto di vista le due cose non sono in contraddizione, ma si tratta di una bellissima sfida da affrontare quotidianamente. Il punto è riuscire a superare ‘l’omologazione’ del linguaggio più comune senza perdere il contatto con le persone, con la vita vera. Non siamo certo artisti, ma ci piace pensare di poter contribuire a offrire qualcosa di bello, di culturalmente interessante. Un buon esempio è la nostra ultima campagna Granarolo dedicata al target oggi più difficile da catturare: i ragazzini. Con questa operazione, siamo riusciti a comunicare i benefici del latte utilizzando uno stile e una lingua tipica dei ragazzi ma al tempo stesso stimolandoli con giochi di parole, ribaltamenti e doppi sensi. Il nome dell’operazione, ‘Ossi duri’, sintetizza questo concetto”.