Youmark

Gli Oscar 2017 commentati dai registi Air3. Paolo Marescotti: come potrebbero oggi gli yankees mascherare le paure che vengono dal loro stesso paese? Cercasi sceneggiatori. Ma che la pubblicità impari la confezione e la maniera di raccontare senza troppi fronzoli made un Us

Gaffe allucinante di Beatty a parte, ci riassumi il tuo giudizio su questa edizione degli Oscar?
“Per un breve istante sul palco, come una dissolvenza incrociata, si sono passati il testimone due ‘best pictures’, ben due. Uno aveva appena assaporato la vittoria e l’altro se la stava gustando, incredulo, da pochi secondi. Dalle mani del monumentale Warren era appena stata sfilata in maniera piuttosto veemente la busta con il nome del vincitore… A me quel momento ha creato disagio. Il ‘John Jack Reed’ di Reds non aveva più autorità (‘Warren non hai capito ancora nulla, io invece sì: dammi la busta con il nome del vero vincitore, che la faccio vedere al mondo intero’). Due film a loro modo iper conservatori (il genere musical, il (de)canto di Hollywood, il comte delle minoranze tra droga e violenza) ma con messaggi progressisti. Sembra la percezione dello Spettacolo di scoprirsi nudo e ancora senza capacità  (o possibilità) di reagire davanti al nuovo corso politico del paese. E quando gli americani vogliono nascondere qualcosa…fanno casino. In Hell or High Waters”.
Volendo trarre dei trend, qual è il più evidente?
“E’ chiaro che i sogni che ‘vende’ Hollywood stanno diventando sempre più concreti. Ma se un tempo i russi avevano le sembianze degli alieni oggi come potrebbero gli yankees mascherare le paure che vengono dal loro stesso paese? Cercasi sceneggiatori…”.
Gli Oscar insegnano, insomma, cosa si trasla di loro in pubblicità?
“La confezione e la maniera di raccontare senza troppi fronzoli, rimangono (anzi stupiscono ancora per certi versi) innegabili doti del cinema americano”.